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Pubblicità della birra ( I Manifesti pubblicitari )
C'è
tutta l'evoluzione del costume del nostro Paese nelle campagne che hanno
reso celebri slogan come "Chi beve birra campa cent'anni". Passando per nomi
che vanno da Mina a Renzo Arbore, da Milly Carlucci a Vittorio Sgarbi. Senza
dimenticare le bionde prorompenti, i suonatori di jazz e gli skinhead teneri
di cuore
In principio furono "la bionda" anita ekberg e "la
mora" mina
Amarcord di un'Italia che non c'è più, ma che continua a vivere nella
nostra memoria. Fa una certa impressione ripercorrere i volti e gli slogan
che hanno segnato la storia della pubblicità della birra in Italia. Sembra
di sfogliare le pagine di un giornale nel quale resta impressa solo la
storia del costume del nostro Paese, cancellando le più brutte pagine di
cronaca nera. C'è tutta l'ingenua semplicità dell'Italia anni '30 nel
fortunatissimo – e inossidabile - pay-off che recita: "Chi beve birra campa
cent'anni". Anno di grazia 1929. Prima campagna collettiva. Non era ancora
l'epoca dei testimonial celebri e la "reclame" (allora, si chiamava così)
mirava ad accrescere il consumo di birra attraverso la presentazione delle
sue qualità benefiche: uno degli slogan recitava, testualmente: "Bevetela
durante i pasti. Facilmente digeribile, contenente sostanze toniche e
nutrienti, la birra è indicata durante i pasti, anche per le donne, vecchi e
bambini. Assicura sonni tranquilli e umore lieto". E poi, ancora: "Chi beve
birra campa cent'anni". Negli anni '50, arriva la televisione. E nulla sarà
mai più come prima. La società diventa un po' meno bacchettona (anche grazie
alla televisione, contro la quale tuona, non a caso, la Chiesa) e la
prorompente Anita Ekberg - affiancata dalla mora e sensuale Mina -
cominciare ad incarnare, nell'immaginario collettivo, l'equazione birra
uguale belle donne: il pay-off recitava: "Bionda o bruna, purché sia birra".
Se è alle donne che la pubblicità della birra continua ad ammiccare ("La
dieta di bellezza: un bicchiere di birra al giorno"), perché la spesa, in
Italia, a quel tempo la facevano solo loro, è agli uomini che si pensa
rilanciando il mito delle bionde "belle e possibili". I maggiori consumatori
del prodotto sono proprio gli uomini, motori (il nostro Paese allora era
decisamente maschilista) del miracolo economico che stava cambiando
radicalmente l'Italia. Salvi Stubing, la bionda vestita da marinaretta che
arriva dal nordeuropa a dichiarare la sua spudorata – per quei tempi -
disponibilità nel bel mezzo del pudico Carosello, è la prima di una lunga e
fortunata serie di belle donne (solo per citarne alcune: Milly Carlucci,
Philippa Lagerbach, Adriana Sklenarikova, Jennifer Driver e Camilla Vest)
che hanno fatto sognare mezza Italia. La metà maschile, ovviamente.
Arriva Arbore e c'invita a meditare sulle virtù della birra
Per scrivere un'altra pagina, altrettanto significativa e indimenticabile,
nella storia della pubblicità della birra italiana ci voleva un personaggio
carismatico come Renzo Arbore. Grande comunicatore, capace di raggiungere,
in maniera trasversale, un pubblico giovane e meno giovane, Arbore sussurra
il suo "Birra... e sai cosa beni" e s'iscrive a pieno titolo nella storia
del costume italiano. Aggiungendo, sornione, alla sua maniera: "Meditate,
gente, meditate"… Credibile proprio perché non sembra prendersi troppo sul
serio, l'inventore di tanti fortunatissimi programmi radio-televisivi,
insiste sulla bontà della birra a tavola, sul piacere di averla in casa per
offrirla agli amici, sul consumo 12 mesi all'anno, sullo scarso tasso
alcolico, sulla notevole digeribilità e sulla grandissima naturalità del
prodotto.
Messaggi ripresi, con qualche variazioni sul tema (s'affacciano, ad esempio,
le tematiche salutiste e fitness), dai molti testimonial degli anni Novanta:
l'indossatrice Marpessa, l'attrice Elena Sofia Ricci, il calciatore Roberto
Mancini, l'attore Armando De Raza, l'industraile Gilberto Benetton e il
critico d'arte Vittorio Sgarbi. Tutti, alla domanda "Birra: come, dove,
quando?" rispondono scuri: "Sempre". Perché "Per la birra non serve la
sete".
Se l'equazione birra uguale belle donne (ma anche, Mancini docet, bei
ragazzi) continua a regnare sovrana sull'olimpo della pubblicità, si scopre
un posizionamento "giovanile" del prodotto che era già stato tracciato da
una non recentissima riedizione – leggermente riveduta e corretta – del più
celebre slogan sulla birra: "Chi beve birra … ha sempre vent'anni".
E a vent'anni, o giù di lì, la musica piace da morire: proprio come la
birra. Da qui altre celebri campagne pubblicitarie, dove la musica diventa
l'emblema di una comunicazione tra generazioni e culture diverse, che
trovano, oltre che nelle note anche nella birra, un importante elemento di
"feeling". Non serve neppure parlare la stessa lingua – il messaggio
multietnico è chiaro - per sentirsi in sintonia…
Del resto anche gli skinhead diventano teneri di cuore davanti a una buona
birra (e alla torta della nonna), proprio come gli apparentemente lontani
lord e gli scalmanati rapper che, in un'altra serie pubblicitaria, finiscono
per condividere almeno la passione sfrenata per questa bevanda.
L'Italia continua a cambiare, ma la storia della pubblicità della birra
continua a restituircela sempre viva e vitale. A volte riesce addirittura ad
essere premonitrice di gusti e tendenze. Merito dei testimonial, forse,
certamente dei pubblicitari, ma anche di un prodotto che sa rinnovarsi
rimanendo sempre uguale a se stesso. Fosse questa la ragione del suo grande
successo? Ancora oggi, in fondo, chi beve birra s'illude di campare cent'anni. |