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Orzi per destinazioni alternative: prospettive per l’orzo da birra di Alberto Gianinetti IntroduzioneL'agricoltura italiana, stretta fra le esigenze di una costante modernizzazione e una congiuntura di mercato che ne contrae in misura crescente la redditività, si trova in una profonda crisi strutturale. La competizione con prodotti di provenienza europea ed extra-europea è un pressante problema che affligge le aziende e che impone di trovare nuovi sbocchi, nuove formule per caratterizzare la qualità delle nostre produzioni. La ricerca di nuovi prodotti, in grado di raggiungere particolari esigenze del mercato, i cosiddetti "prodotti di nicchia", è uno degli obiettivi primari degli operatori agricoli. A questo scenario non fanno eccezione le colture cerealicole, per le quali stanno riscuotendo crescente interesse gli impieghi alternativi per produzioni di alta qualità. In tal senso, la Sezione di Fiorenzuola d'Arda (PC) del CRA – Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura, specializzata sull’orzo, svolge diverse attività di ricerca sull’orzo da birra e sugli alimenti funzionali. Particolare attenzione è dedicata allo studio della variabilità genetica, delle caratteristiche nutrizionali e biochimiche dei prodotti e ai relativi risvolti tecnologici.
Per quanto riguarda la filiera di produzione della birra, di cui l’orzo costituisce la principale materia prima, essa rappresenta un settore agroalimentare in condizioni sostanzialmente positive dal punto di vista produttivo. Negli ultimi anni, secondo i dati di Assobirra, l'associazione che raggruppa gli industriali del settore birrario in Italia, la produzione di birra nel nostro paese ha superato i 13 milioni di ettolitri, mentre il consumo pro-capite si è attestato attorno ai 30 litri annui. Il mercato italiano, pur abbastanza concentrato (pochi gruppi provvedono alla maggior parte della produzione) e 'maturo', ha ancora buone potenzialità di crescita. Contemporaneamente, però, si osserva come dal punto di vista della produzione di malto e della materia prima, cioè l’orzo da birra, il nostro Paese rimanga ancora fortemente deficitario. In Italia infatti la produzione di orzo da birra utilizzato dalle due malterie (SAPLO-Pomezia e Agroalimentare Sud-Melfi) è pari a 80-90.000 t. Poiché sono necessari 130 kg di orzo per ottenere 100 kg di malto, dalla trasformazione dell'orzo da birra prodotto in Italia si ottengono 60-70.000 t di malto, mentre per ottenere i 13 milioni di ettolitri prodotti a livello nazionale si utilizzano più di 150.000 t di malto e 50.000 tonnellate di cereali non maltati. Di conseguenza, oltre 100.000 t di malto (quasi 2/3 del fabbisogno nazionale) sono importati annualmente: la produzione di malto e, quindi, la coltivazione di orzo da birra in Italia sono molto inferiori rispetto alle esigenze. Ciò porta ad ipotizzare una prospettiva di sviluppo per gli ordeicoltori italiani, sia per quanto riguarda un possibile aumento del fabbisogno industriale, sia per lo sviluppo di filiere locali destinate a produzioni tipicizzabili. In questa ottica è necessario disporre di varietà dotate di qualità superiore e di una potenzialità produttiva paragonabile alle varietà da zootecnia. Attualmente la coltivazione di orzo da birra in Italia è limitata al Centro-Sud Italia, nelle aree limitrofe alle due grandi malterie, con varietà di costituzione straniera. L’impiego di tali varietà, essenzialmente primaverili, ma adatte alla semina autunnale nelle zone temperate del Sud, consente l’ottenimento di raccolti di qualità. Si tratta di un’esigenza industriale: per garantire l’esistenza stessa della filiera, le malterie richiedono elevati livelli qualitativi per l’orzo perché solo in questo modo si possono produrre in maniera conveniente malti capaci di competere sul mercato internazionale. Il mercato dell'orzoE' pratica comune che il mercato dell’orzo da birra sia legato a contratti di coltivazione da parte delle malterie: in Europa, come negli U.S.A., Canada e Australia, l’acquisto dell’orzo da birra da parte dell’industria maltaria è regolamentato contrattualmente con gli agricoltori ed è vincolato al raggiungimento di determinati parametri qualitativi; solo se questi sono effettivamente riscontrati, l’agricoltore può vendere il lotto alla malteria spuntando un prezzo superiore al prezzo di mercato dell’orzo da zootecnia. Sebbene il vantaggio economico diretto per il singolo agricoltore sia limitato, occorre considerare che la presenza della malteria garantisce sul territorio l’acquisto di un ingente quantitativo di orzo, contribuendo quindi a sostenerne il prezzo di mercato e fornendo uno sbocco addizionale alla produzione cerealicola che a tutt’oggi manifesta sempre più difficoltà in questo senso. La malteria garantisce sul mercato la richiesta di grosse partite di poche varietà scelte, che abbiano requisiti di uniformità e qualità. Particolare attenzione deve comunque essere posta nella gestione agronomica della coltura: l’elevata qualità della granella richiede un basso contenuto di proteine, nonché una raccolta puntuale e uno stoccaggio accurato. E’ utile ricordare che una concimazione azotata non eccessiva e una precessione colturale appropriata (da escludere prati e altre colture che arricchiscono il terreno di azoto) risultano necessarie per assicurare il buon livello qualitativo del raccolto. Occorre ribadire che nelle diverse zone ordeicole italiane questi standard sono effettivamente raggiungibili. L’adozione delle migliori varietà da birra nei migliori areali, può, in definitiva, consentire la produzione di orzo di elevata qualità maltaria da destinare ad un’industria birraria italiana che risulta in espansione.
Un secondo punto, a cui si accennava in precedenza, è la buona capacità produttiva, essenziale affinché l’agricoltore stesso trovi conveniente la coltivazione dell’orzo da birra rispetto ad altri cereali. In questo senso, occorre notare che gli orzi distici primaverili da malto, se coltivati al Nord Italia, forniscono una produzione (circa 5 t/ha) sensibilmente più bassa di quella normalmente ottenuta con altri cereali autunno-vernini o con i comuni orzi a semina autunnale (circa 7 t/ha) che sono però eminentemente ad uso zootecnico. Una vera competitività degli orzi da birra italiani può quindi essere raggiunta solo con l’introduzione di varietà ad habitus invernale e, perciò, maggiormente produttive. Alcune varietà Nord-europee sono attualmente disponibili, ma anche l'Istituto Sperimentale di Cerealicoltura sta perseguendo da tempo la selezione di orzi da birra autunnali adatti agli ambienti italiani e, a breve, potrà fornire materiali genetici più idonei allo sviluppo di una filiera dell’orzo da birra anche al Nord. La disponibilità di tali varietà potrà essere utile a livello nazionale, in quanto, mentre le varietà primaverili nord-europee si sono mostrate adatte alla semina autunnale al Sud Italia ma, per il rigore invernale, vengono penalizzate nelle semine autunnali al Nord, le varietà invernali di orzo da birra potrebbero essere coltivate in entrambe le aree geografiche, senza richiedere una specifica differenziazione del quadro varietale. In
quest’ottica,
una strategia che preveda
di differenziare gli areali di coltivazione potrebbe giovare
considerevolmente a ridurre le importazioni di questo cereale:
benché le varietà primaverili (generalmente francesi o tedesche)
attualmente impiegate in semina autunnale nelle zone temperate del Sud
forniscano raccolti di ottima qualità, una vera competitività degli orzi
da birra italiani può essere raggiunta solo con
l’introduzione di varietà
invernali più produttive negli ambienti più idonei di tutto il
territorio nazionale.
ConclusioniLo
sviluppo della filiera per la trasformazione dell’orzo da birra può
essere favorevolmente auspicata a due livelli: innanzitutto la
presenza di
micromalterie
costituirebbe un importante contributo alla
tipicizzazione
delle
produzione birrarie locali
ad opera dei numerosi microbirrifici presenti sul territorio, che si
potrebbero avvalere di
piccole partite di orzo
prodotte in loco;
a un livello industriale, un’analoga filiera avrebbe un impatto assai
più ampio dal punto di vista agricolo. In particolare, nel caso delle
microfiliere, a beneficiarne sarebbero in primo luogo i microbirrifici
stessi che potrebbero veder conferita tipicità, e valore aggiunto, al
loro prodotto, in quanto caratterizzabile per lo sviluppo in loco non
solo del prodotto finito, la birra, ma anche della materia prima,
l’orzo. In secondo luogo, poiché la sussistenza di una malteria di
dimensioni “micro” sarebbe possibile solo in ragione del
trasferimento di parte del
valore aggiunto dalla birra al malto e all’orzo,
alcuni agricoltori locali potrebbero beneficiare di uno
sbocco produttivo
alquanto
più interessante rispetto al mercato normale.
Tale prospettiva potrebbe costituire un importante
preludio allo sviluppo
della filiera industriale.
BibliografiaCavallero A., Gianinetti A., Toffoli F., Delogu G. e Stanca A.M. (2001). Orzo da birra: proprietà enzimatiche e produttività. Inf. Agr. LVII(32):45-48. Cavallero A., Empilli S. Brighenti F. e Stanca A.M. (2002) High (1→3,1→4)-ß-glucan barley fractions in bread making and their effects on human glycemic response. Journal of Cereal Science 36:59-66. Ferrari B., Finocchiaro F., Gianinetti A., Delogu, G., Fares C., Codoni D., De Falcis D., Verna, P., Ranalli G. e Stanca A.M. (2004) Dall’orzo alimenti ad alta valenza nutrizionale. Inf. Agr. LX(33):65-68. Delogu G., Gianinetti A, Stanca A.M. (coordinatori) et al. (2005). Varietà di orzo da zootecnia, da malto e a seme nudo. (Risultati delle prove nazionali sulle varietà di orzo, 2004-2005). Inf. Agr. LXI(32):43-56. Gianinetti A, Baronchelli M., Alberici R., Delogu G. e Stanca A.M. (2005). L’orzo da birra, una produzione che mantiene il suo valore. Inf. Agr. LXI(32):57-62. Gianinetti A., Toffoli, F., Cavallero A., Delogu G. e Stanca A.M. (2005). Improving discrimination for malting quality in barley breeding programmes. Field Crop Res. 94:189-200. Fonte http://aziendagraria.uniud.it/labgraco |
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