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Dossier: Microbi buoni e microbi cattivi nel nostro piatto
Già i nostri antenati dell'antica Roma bevevano la birra: l'avevano conosciuta durante l'espansione dell'impero in Gallia e in Spagna. La materia prima per la fabbricazione della birra è l'orzo, un cereale molto comune, che si adatta ad essere coltivato anche alle basse temperature. L'orzo non viene utilizzato così com'è, ma viene trasformato in malto attraverso tre operazioni. La prima è la germinazione delle cariossidi, per disporre di uno zucchero, il maltosio, che sia in grado di essere fermentato. La successiva torrefazione serve per fermare al punto giusto la germinazione, assicurare la conservazione e dare alcune caratteristiche di colore e gusto. Alla fine avviene la macinatura, per favorire la preparazione del mosto da fermentare. Dopo la cottura del mosto e l'aromatizzazione con il luppolo, finalmente tutto è pronto per iniziare la fermentazione, che viene condotta da microrganismi della specie Saccharomyces cerevisiae (gli stessi che costituiscono il cosiddetto "lievito di birra", sfruttato anche nell'industria farmaceutica per la ricchezza in vitamine del gruppo B). Questi lieviti, attivi anche nella produzione del vino e del pane, attaccano diversi zuccheri (maltosio, destrosio, levulosio, saccarosio, ecc.) producendo alcol e anidride carbonica durante la prima fase tumultuosa del processo. Nella fase che segue, più lunga e tranquilla, la birra acquista il suo gusto particolare, diventa limpida e si arricchisce di acido carbonico, da cui dipende la schiuma tipica della bevanda finale. Responsabili di questi cambiamenti sono ancora i Saccharomyces, aiutati però da altri lieviti in grado di produrre alcol a partire dagli zuccheri, anche acidi ed eteri, cui si fanno risalire il sapore e l'aroma tipici di alcune birre. Fonte TorinoScienza.it
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