Birra
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La birra nel mondo antico
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Gli
antichi Egizi tra pizza e birra
Le nazioni della birra
|
Gli Egiziani
di Paolo
Del Vecchio
Chi
è Paolo Del Vecchio?
Dirigente
d’industria in pensione, ha svolto la sua attività lavorativa nel Food&Beverage,
ed ha esercitato per lungo tempo la sua professione nel settore birrario,
acquisendo una profonda conoscenza del prodotto. Appassionato studioso di
archeologia della birra, sempre alla ricerca di nuovi spunti e contenuti, è
stato uno dei primi venti docenti dell’Accademia della Birra. La sua
esperienza professionale lo ha comunque portato a conoscere in modo
approfondito anche altri prodotti, quali il caffè e soprattutto il vino
essendo stato dirigente del Coltiva – Consorzio Nazionale Vini. Tra le
attività svolte, anche quella di docente ai corsi di formazione sommelier
organizzati dall’Ais, sezione dell’Emilia Romagna.
Ha pubblicato:
-
il romanzo:
“Una sera d’inverno” Editore Baraldini
-
“Braghirolus Rex – la vera storia del
Lambrusco inventata dall’autore”
Editore “Il Fiorino” – sponsorizzato dal
Coltiva
-
“La vera storia dell’Aceto Balsamico – come
ci fu raccontata dallo stesso Braghirolus”
Editore Arian – sponsorizzato dal Consorzio
Nazionale Aceto Balsamico di Modena
-
“Storia della Birra dai Sumeri al Medio
Evo” Ampi stralci di questo
libro sono stati pubblicati sulla rivista mensile “Il Mondo della Birra”
in sei corpose puntate, dal marzo all’agosto 2010.
-
Ha ultimato
il romanzo “Verdi giorni di primavera” ed in fase conclusiva
“Sargon il Grande” vita romanzata del grande Re babilonese.
Importantissima era la
produzione di birra anche nell'antico Egitto che, nei consumi popolari, veniva subito dopo
l'acqua del Nilo. Scarsa la presenza del vino d'uva, più diffuso invece il vino di
datteri.
Le prime notizie certe risalgono al 3100 avanti Cristo e narrano della
ostessa Azag-Bau la quale preparava e vendeva nella sua cantina una birra di cereali, che
nella lingua egiziana più arcaica veniva chiamata "henqet". Nasce probabilmente
parallelamente alla se-bar-bi-sag sumera, e non si hanno documentazioni sufficientemente
comprovanti la priorità dell'una sull'altra.
Gli egiziani facevano risalire l'invenzione della birra al dio Rie, il
quale ne aveva fatto splendido dono agli uomini. Dai testi sacri del tempio di Uruk si
deduce che dovevano essere almeno quattro i tipi di birra prodotti, birra che veniva
offerta annualmente in diciotto vasi d'oro al dio Anu. Se ne ha però notizia certa di
solo tre tipi: la "zythum", birra chiara, la "curmy" che doveva essere
di colorazione più scura, e la "sà", birra ad alta concentrazione, riservata
all'esclusivo consumo del Faraone e per le cerimonie religiose.
La lavorazione era molto simile a quella sumerica, a parte la
maltizzazione che venne scoperta ed impiegata solo in epoche successive, probabilmente
quando si volle imitare la più raffinata lavorazione della prestigiosa birra Babilonese.
Per l'aromatizzazione si ricorreva con maggiore frequenza al miele di datteri ed alla
cannella, non disdegnando però salvia e rosmarino.
La birra é presente lungo tutto l'arco della vita degli antichi
egiziani: dalla nascita alla morte. Lattanti, venivano svezzati con una miscela a base di
zythum, acqua, miele e farina di orzo; più grandicelli, venivano iniziati ad un moderato
consumo della bionda bevanda regalando loro, con una apposita cerimonia di iniziazione,
una piccola anfora che doveva costituire la dose massima quotidiana di birra permessa,
anfora che li seguiva fin dopo morti e che veniva posta nel sarcofago - ovviamente quei
defunti che avevano diritto di aspirare all'immortalità.
Il processo di mummificazione, che durava mesi, veniva preceduto da un
lavacro a base di birra, evidente simbolo di purificazione per il carattere sacrale e per
l'origine divina della bevanda. Occorre dire che nel Libro dei Morti nel capitolo che
tratta della imbalsamazione nella Casa dei Morti, solo i Faraoni, i dignitari, i sacerdoti
e le personalità più importanti del regno avevano diritto a questo trattamento che,
conservando il corpo, assicurava l'immortalità dell'anima. Soltanto questi personaggi
erano depositari, per volere divino, di un'anima che entrava a far parte dell'aldilà, in
amena compagnia delle altre numerose divinità. Solo i Faraoni, dopo morti, divenivano
essi stessi divinità, andando ad occupare un preciso posto nel complicato ordinamento
divino. Il popolo, purtroppo per loro, non disponeva di nessun tipo di anima, nonostante
le abluzioni interne ed esterne di birra, in vita e da morti.
Nel testo del Regno Antico, conservato nelle piramidi di Sakkara, alla
descrizione di quanto era necessario al defunto per il lungo viaggio dell'oltre tomba,
figura sempre il geroglifico di zythum e curmy. Durante le interminabili estenuanti
cerimonie funebri, tutti i presenti per onorare il defunto facevano abbondanti libagioni
di birra, così come si legge sul papiro di Prisse trovato nella necropoli di Abido e che
consigliava: "....non ti lascerai prendere dal dolore sino a stordirti, ma troverai
conforto bevendo zythum e curmy...." (da papiri conservati nel museo egiziano di
Torino)
I Sacerdoti completavano la funzione funebre bevendo sà mentre
intonavano il lamento funebre che all'incirca recitava: "....é triste salire sulla
barca di Rie senza speranza di trovare zythum e curmy in abbondanza come vorrebbe l'anima
tua...." (ibidem)
Ramsete III° (1300 a.C.) si vantava di aver donato durante tutta la
sua vita ben 463.000 vasi di birra alla potentissima divinità Isthar, la dea della
fertilità, dell'amore, ma anche protettrice dei naviganti e degli eserciti, come recita
la sua litania:
....astro del mattino
stella del mare
regina della terra
patrona dei naviganti
guida degli eserciti.....
Isthar veniva identificata nel pianeta Venere,
il primo e più luminoso astro a comparire nel cielo notturno. In suo onore era stato
eretto il tempio di Medinet-Habu dove, con puntigliosa pignoleria, nelle tavolette
contabili si annotavano i generi alimentari introitati, ed il consumo giornaliero di
bevande: ben 144 otri di birra, ed alcuni di vino e vino di datteri. Ciò comprova, se
ancora ve ne sia bisogno, oltre la sacralità di questa bevanda, anche le sue proporzioni
di consumo rispetto le altre.
Certamente la birra era anche di uso popolare, ma il popolo non ne
poteva disporre a volontà secondo i propri desideri, come traspare da un canto contadino
che recitava con una vena di rimpianto: "....trebbia la paglia dall'orzo, per i
signori che vogliono zythum..." (ibidem), mentre una dolcissima canzone d'amore
inneggia all'amato bene: "....quando ti bacio sulle lebbra dischiuse, sono felice
anche senza zythum..." (ibidem)
Nelle tavole raccolte nella biblioteca di Tutmosi III° (1480 a.C.) é
scritto come il dio Osiride, divinità notturna patrono del regno dei morti, ricevesse due
volte l'anno dal faraone Sotis I° ben 1200 otri di birra che veniva impiegata per le
libagioni sacre e per essere distribuita al popolo in occasione delle festività
religiose. Narrano inoltre di Zhutu, generale di Tutmosi III°, il quale non riuscendo a
conquistare dopo un estenuante assedio la fortezza di Yoppo, pensò bene di far ubriacare
la guarnigione fenicia abbandonando fuori dalle mure un abbondante quantitativo di otri di
birra, riuscendo così nell'intento.
Amenophis IV, figlio di Amenophis III°, sale al trono alla morte
naturale - evento raro - del padre nel 1362 a.C. Uomo di grande apertura mentale, si rende
subito conto che l'effettivo potere é da tempo radicalmente in mano alla potente classe
sacerdotale. Non sarà dunque lui a regnare sull'Egitto, ma il Grande Sacerdote, così
come era sempre stato sin dai tempi dei suoi avi.
Uomo intelligente, ma anche ambizioso, decide che d'ora in poi il
governo dello Stato dovrà passare nelle sue mani. Per far ciò ha un solo mezzo:
destituire la divinità imperante, il dio Ammone, ottenendo così il declassamento di
tutta la casta sacerdotale. Crea quindi una nuova divinità capostipite, unica e sola
abitatrice dell'olimpo celeste: il dio Athon, rappresentato nel disco solare, dispensatore
di luce in terra, origine di ogni specie vivente e, come tale, padre celeste dello stesso
Faraone. Cambia quindi il suo nome in Ekenathon, letteralmente figlio di Athon, ed inizia
il processo di restaurazione facendo distruggere tutte le statue del regno del vecchio dio
Ammone, a partire dalla capitale, la città di Tebe.
In un eccesso di moralismo ed ascetismo, ordina che sia proibita ogni
produzione di birra, che siano chiusi tutti gli spacci e fa distruggere tutte le riserve
di questo prodotto, sia nelle cantine reali che in quelle di tutti i dignitari, sino ai
più umili osti. Siamo propensi a credere che più da un eccesso morale, fu spinto dalla
necessità di precludere ogni passata formalità religiosa che vedeva quale principale
attore la birra. Dunque il dio Athon non beve birra, e nemmeno Ekenathon!
Ma i sacerdoti sono in grande numero, troppo forti, ed il loro potere
sul popolo ancora intatto. Ekenathon non si attenta a scatenare una guerra civile di
religione, dalla quale avrebbe ben poche prospettive di uscirne vincitore - aveva
certamente tutto il popolo contro, se non altro per aver proibito la birra (terribile
errore politico!) - decide allora di abbandonare Tebe al suo apostata destino e di
costruire una nuova città: Amarna. In tre anni di ininterrotto lavoro di schiavi pagati a
suon di frusta, costruisce in pieno deserto la nuova capitale del regno, ricca di nuove
costruzioni, cinta da imprendibili mura e con una sola porta di accesso. In questa fa
costruire il suo nuovo palazzo ed uno splendido santuario dedicato al suo padre
spirituale, il dio Athon.
Nella città fortezza, a Tell-el-Amarna, vivrà monasticamente con la
sua bellissima moglie Nefertiti, sicuramente la più bella donna mai esistita nell'antico
Egitto, come si può ancora vedere dagli splendidi busti in calcare, di cui uno, scoperto
nel 1912, perfettamente conservato ed ancora fresco di vividi colori, esposto nel museo
del Cairo. Lo segue la sua numerosa corte, i dignitari della nuova classe sacerdotale di
cui egli é il capo incontrastato, ed una vasta schiera di artigiani, servitori e schiavi.
E' una città assolutamente autonoma, provvista di tutto ma, hai loro!
non si produce una sola goccia di birra, bevanda che il Faraone aborrisce. Pullulano
però, fuori dalle mura, i venditori di zythum e curmy che fanno affari d'oro con tutti i
cittadini meno asceti di Ekenathon.
Modesto comunque fu il governo di questo Faraone che, governando sulla
sua città, si illuse di governare l'Egitto, saldamente in mano alla vecchia classe
sacerdotale.
Alla sua morte naturale - ma ci sia concesso più di qualche dubbio -
avvenuta nel 1345 a.C., sale al trono, ancora bambino, il nipote Tutankathon al quale
aveva destinato in moglie la propria figlia, da lui stesso sposata alla morte di
Nefertiti, per farla assurgere al rango di Regina ed assicurare così al prediletto nipote
il legittimo titolo di Faraone.
Dopo soli tre anni Tutankathon abbandonava la città fortezza, che nel
breve volgere di pochi anni si riduceva in polvere insieme ai sogni di gloria e di un dio
unico di Ekenathon. Tornava a Tebe ed abiurando il dio solare Athon, riabbracciava la
vecchia fede del dio Ammone e, con sommo gaudio dei sacerdoti i quali in tutto ciò
dovevano avare messo più di uno zampino, cambiava il suo nome in Tutankamon. Chi non
conosce oggi questo nome di Faraone, illustre sconosciuto per il suo brevissimo regno, ma
tramandato in eterno ai posteri per la ricchezza del ritrovamento della sua tomba.
Quando nel 1922 Lord Carnarvon e l'archeologo inglese Howard Carter
stavano compiendo scavi nella Valle dei Re, in Egitto, si imbatterono casualmente in un
sigillo che riportava il cartiglio di un fantomatico faraone, Tutankamon, del quale
nessuna traccia figurava nella sia pur lunga e minuziosa genealogia delle stirpi
faraoniche. Con la pazienza del certosino ed animati dalla speranza di trovare una nuova
tomba, cominciarono gli scavi. La loro costanza fu premiata quando, dopo un considerevole
numero di insuccessi, poiché la vera tomba era protetta da una sequela di finte porte,
finti corridoi e finte camere mortuarie, si imbatterono nell'anticamera della vera camera
mortuaria. Il sogno segreto di tutti gli archeologi si era avverato! la più grande
scoperta archeologica del mondo! la prima ed unica tomba di faraone assolutamente intatta
ed inviolata. Nell'anticamera giacevano alla rinfusa centinaia di oggetti - ciascuno dei
quali avrebbe fatto la fortuna di un archeologo - dal più semplice utensile di uso
comune, al più raffinato oggetto regale: il carro da battaglia, sedili e divani di
fattezza squisita intarsiati d'avorio ed oro, animali fantastici scolpiti in legni
pregiati ed il pezzo più importante della collezione: il trono del re con effigiato sulla
spalliera il ritratto del re e della sua consorte.
Carnarvon e Carter pensavano di aver trovato tutto il trovabile, ma
erano appena all'inizio. Scavando ancora per scoprire la cella mortuaria, si imbatterono
in una seconda stanza ancora più ricca di reperti, molti dei quali erano oggetti preziosi
di raffinata fattura. Un tesoro di immenso valore! Ma le sorprese non erano ancora finite.
Ancora una porta sigillata ed una terza stanza, aperta la quale si trovarono di fronte ad
un muro d'oro, ma che si rivelò essere la parete di una enorme cassa dorata, all'interno
della quale vi era una seconda cassa anche questa dorata, quindi una terza ed ancora una
quarta, come in un gioco di matrioske russe. All'interno di questa ultima cassa si trovava
un sarcofago di quarzite gialla, lungo circa tre metri ed alto uno e mezzo, sul quale
spiccava il ritratto in legno di Tutankamon. Convinti di essere finalmente arrivati alla
mummia del faraone, sollevarono la pesante lastra di marmo che ricopriva la cassa e
trovarono una prima bara avvolta in bende di lino che sostenevano la prima delle maschere
d'oro tempestata di gemme che rappresentava il volto del Faraone. All'interno di questa
ancora un'altra cassa con ancora una maschera funeraria d'oro massiccio, coloratissimi
smalti e pietre preziose. E per finire, ancora un'altra cassa, la terza ed ultima, tutta
in oro massiccio, dal peso di svariati quintali, nella quale finalmente fu raggiunta la
mummia del Faraone sulla quale troneggiava la terza ed ultima maschera funeraria, la più
bella, la più nota al grande pubblico.
A conti fatti, il corpo del faraone riposava in una sequela di otto
casse, e tornava alla luce dopo 3270 anni! Come ebbe a dire Carter, l'unico merito ed
aspetto importante della vita di Tutankamon fu "perché morì e fu sepolto" con
fasti e ricchezze di tesori d'arte e di preziosi mai eguagliati da nessun altro faraone
nella storia d'Egitto.
Ma torniamo alla nostra più semplice e genuina birra.
Memorabili devono essere stati i banchetti in tutte le dinastie dei
Faraoni; fiumi di birra, non metaforici ma autentici fiumi di birra, attraversavano le
mense regali riccamente imbandite, lungo le quali scorrevano rivoli di birra continuamente
alimentati da capaci otri di zythum. I commensali non dovevano fare altro che immergere le
coppe e brindare, brindare, trascorrendo le lunghe giornate delle innumerevoli festività
religiose fra montagne di cibo e torrenti di birra, fra canti sacri e danze un pò meno
sacre, sino a quando tutti cadevano esausti dalle pantagrueliche mangiate e bevute. Non
per nulla si sta parlando di banchetti faraonici!
Quando nel 1934 un gruppo di archeologi francesi cominciò a scavare
nella zona di Tell-Hariri, erano ben lungi dall'idea di scoprire l'antichissima,
famosissima ma altrettanto fantomatica città di Mari, città che, sorta nel III°
millennio avanti Cristo, assurse al massimo fasto sotto il regno del suo ultimo re
Zimrilim e fu distrutta, rasa al suolo e bruciata dagli eserciti di Hammurabi di Babilonia
nel 1739 a.C. Da allora era rimasta sepolta per quattromila anni, sino a quando, appunto
nel 1934 se ne intraprese lo scavo.
Il palazzo reale, che ricopriva l'astronomica superficie di 30.000 mq.,
era dotato di ben trecento stanze di cui due, evidentemente quelle dell'appartamento
personale del re, corredate di tutti i servizi igienici e da due vasche da bagno collegate
a grandi caldaie di terracotta per scaldare l'acqua. E ancora stanze destinate ad aule
scolastiche, con file di panche e scrittoi e con stili e le tavolette di terracotta come
se fossero appena state usate dagli scrivani. Ma la grande sorpresa fu la biblioteca, una
immensa stanza rettangolare letteralmente piena di tavolette che il fuoco anziché
distruggere, aveva consolidato rendendole leggibili. Parte erano ancora ordinatamente
alloggiate sugli scaffali, altre erano cadute e ricoprivano il pavimento sino a due metri
e mezzo di altezza.
Lettere, rendiconti, atti di governo, intrighi politici, resoconti di
viaggi, di battaglie, storie di uomini e di divinità; scorci di vita quotidiana che
doveva essere scorsa intensa e ricca di eventi scrupolosamente annotati e codificati. Più
di ventimila tavolette, solo in minima parte tradotte, fra queste, la contabilità della
produzione, della vendita e delle donazioni di birra, di orzo per birra e per la
panificazione.
Ma il ritrovamento, per noi birrofili, più interessante fu quello
della Dea zampillante, una statua di donna, di normale altezza, con in mano un vaso
recanti i sigilli dell'orzo e della birra. Attraverso una canalizzazione interna alla
statua, collegata con una grande anfora esterna, scorreva la zythum che fuoriusciva dal
vaso. Ingegnoso sistema per alimentare i già noti fiumi di birra che attraversavano le
mense dei Faraoni.
Non possiamo certo chiudere questo capitolo sull'Egitto senza accennare
all'ultima regina della sua storia, la più nota la più chiacchierata: Cleopatra.
Tutti ne conoscono la storia, più o meno veritiera, narrata,
romanzata, cinematografata, ed é a tutti noto come, sentendosi vecchia, non più
desiderata, sentendo di aver perso il suo ben noto fascino femminile, e timorosa di essere
trascinata a Roma quale trofeo di guerra, decise di por fine ai suoi giorni facendosi
mordere il seno da un aspide.
Ebbene, prima di compiere questo ultimo definitivo gesto, si fece
mescere dalle ancelle due coppe di sà, la forte birra degli dei, che offrì una a se
stessa, prossima dea sorgente dall'imminente morte, ed una alla dea Anubi che l'avrebbe
accompagnata nel lungo viaggio d'oltretomba.
L'olimpo egiziano è costellato da numerose divinità, in un complicato
gioco di personificazioni e metamorfosi. Fra queste la potentissima Hothor, figlia di Rie,
una delle maggiori dee del pantheon egiziano, divinità solare femminile impersonata nel
sicomoro.
Nella rappresentazione del sole era impersonata dalla vacca Hanub, con
l'emblema del disco solare fra le corna e con le mammelle che spargevano latte e birra. Il
popolo egiziano usava portare al collo una sua effigie sia come talismano contro le
malattie, sia come portafortuna per assicurarsi, siamo convinti, ampia disponibilità di
birra per tutto l'anno.
Anche in medicina e nelle formule magiche la birra rivestiva carattere
di grande importanza; come balsamo contro le malattie con particolare riferimento a quelle
di origine intestinale, per curare le ferite, come antidoto al velenoso morso degli
scorpioni. Si racconta che il mago Dodi, con ripetuti impacchi di birra, riuscì
addirittura a resuscitare un toro ed un'oca riattaccandone la testa mozzata.
La birra era inoltre comunemente impiegata quale complemento agli
emolumenti degli operai. Infatti, durante i lavori della grandi costruzioni, nelle miniere
o nei semplici lavori dei campi, oltre al salario, agli uomini liberi veniva distribuita
una misura di birra ogni tre ore, agli schiavi due misure al giorno mentre ai prigionieri
di guerra - meschini! - quando andava bene, una misura al dì.
Vastissima la raccolta di reperti archeologici che ci raccontano di
birra e dei costumi birrari egiziani. In centinaia di rotoli di papiro viene menzionata la
birra nei suoi momenti di consumo abituale e quotidiano; vasi e vassoi istoriati con scene
di raccolta dell'orzo, della sua produzione, di cerimonie religiose; bassorilievi con
spighe di orzo, vasi da birra, geni seduti sotto l'albero della birra, rappresentazione
figurata dell'albero della vita. Famosa la statuetta conservata nel museo di Firenze e che
rappresenta una donna inginocchiata, intenta ad impastare pani per birra. Formidabile lo
stendardo murale dipinto all'interno della tomba di Ti, dignitario di corte preposto alla
fabbricazione della birra riservata alla corte del Faraone, nel quale, in una lunga
sequela di scenette, vengono istoriate le varie fasi della lavorazione della bevanda.
Al Louvre, un plastico a tutto rilievo, ritrovato nella tomba del
cancelliere Nakhti-Assiout, mostra, a cielo aperto, l'interno di una fabbrica di birra,
con personaggi intenti alle varie fasi della lavorazione.
Bellissima la tomba di Ounson e di sua moglie Imenhetep, contabile dei
sacri granai di Ammone nella città di Tebe nella XVIII dinastia, interamente trasferita e
ricostruita in una sala del Louvre. Gli stendardi dipinti lungo le pareti rappresentano
tutte le fasi inerenti la semina ed il raccolto dell'orzo. Nella parte riguardante la
mietitura, fra le alte spighe, frammiste alle figure degli schiavi intenti al lavoro,
circolano portatrici di anfore da birra intente ad offrire la ristoratrice bevanda.
Sempre al Louvre, scolpita su di una lastra di marmo, la Tavola dei
conti, il menu dei morti, con il lungo e dettagliato elenco di tutte le cibarie e le
bevande da porre nella tomba a ristoro del defunto, e fra queste: "due misure di
birra - una misura di birra al miele di datteri - una misura di vino di datteri -
...." |