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Gli
antichi Egizi tra pizza e birra
Le nazioni della birra
Pagine Gialle
della Birra |
La
birra in epoca antichissima: Dalle
origini dell'uomo
di Paolo
Del Vecchio
Chi
è Paolo Del Vecchio?
Dirigente
d’industria in pensione, ha svolto la sua attività lavorativa nel Food&Beverage,
ed ha esercitato per lungo tempo la sua professione nel settore birrario,
acquisendo una profonda conoscenza del prodotto. Appassionato studioso di
archeologia della birra, sempre alla ricerca di nuovi spunti e contenuti, è
stato uno dei primi venti docenti dell’Accademia della Birra. La sua
esperienza professionale lo ha comunque portato a conoscere in modo
approfondito anche altri prodotti, quali il caffè e soprattutto il vino
essendo stato dirigente del Coltiva – Consorzio Nazionale Vini. Tra le
attività svolte, anche quella di docente ai corsi di formazione sommelier
organizzati dall’Ais, sezione dell’Emilia Romagna.
Ha pubblicato:
-
il romanzo:
“Una sera d’inverno” Editore Baraldini
-
“Braghirolus Rex – la vera storia del
Lambrusco inventata dall’autore”
Editore “Il Fiorino” – sponsorizzato dal
Coltiva
-
“La vera storia dell’Aceto Balsamico – come
ci fu raccontata dallo stesso Braghirolus”
Editore Arian – sponsorizzato dal Consorzio
Nazionale Aceto Balsamico di Modena
-
“Storia della Birra dai Sumeri al Medio
Evo” Ampi stralci di questo
libro sono stati pubblicati sulla rivista mensile “Il Mondo della Birra”
in sei corpose puntate, dal marzo all’agosto 2010.
-
Ha ultimato
il romanzo “Verdi giorni di primavera” ed in fase conclusiva
“Sargon il Grande” vita romanzata del grande Re babilonese.
Agli albori della sua
comparsa sulla terra, l'uomo viveva nei boschi, che ricchissimi ricoprivano il globo, e si
nutriva essenzialmente di bacche, radici, frutti e, per quanto gli era possibile, di
caccia. Questa vita difficile, dura, tesa alla continua ricerca di cibo, fra l'altro non
sufficientemente disponibile per tutto l'arco dell'anno, faceva si che la crescita della
popolazione fosse estremamente limitata sia perché la scarsità di cibo influiva sulla
fertilità, sia perché per la sopravvivenza, i gruppi familiari o piccole tribù, avevano
bisogno di larghi spazi ove cacciare ed effettuare la ricerca dei vegetali commestibili.
Soltanto dopo aver scoperto l'agricoltura - ma per compiere questo
piccolo passo occorsero migliaia di anni - l'uomo poté disporre di più abbondanti
quantitativi di cibo per tutto il periodo dell'anno, raggiungendo così più sicurezza e
serenità.
Quindi uscì dalla foresta e conquistò i larghi spazi delle
praterie ove meglio poté applicare le pur rudimentali tecniche agricole. Le famiglie
crebbero, si formarono tribù, villaggi, paesi, sempre più grandi centri abitativi, sino
a raggiungere le dimensioni di vere e proprie città. Sulla terra cominciava il processo
di crescita della popolazione che, nel breve volgere di pochi millenni, avrebbe portato la
civiltà dell'uomo sino ai nostri tempi.
Parallelamente allo sviluppo dell'uomo, avveniva lo sviluppo degli
animali; sino a quando questi abitavano le foreste, il loro numero era modesto e di
piccola taglia. Quando anche loro invasero le praterie, la enorme abbondanza di cibo dei
ricchi pascoli li fece aumentare di numero e di dimensione; ne é un esempio il cavallo il
quale, in origine, non era più grande di un coniglio, pur essendo già formato nella
morfologia attuale. Alcuni animali erbivori crebbero a dismisura, come i dinosauri, i
brontosauri, e di conseguenza crebbero le dimensioni dei carnivori, come i tirannosauri.
Ma tutto ciò rientra nella storia della evoluzione della specie.
Improvvisamente, per fattori che non sono stati ancora pienamente
chiariti, i grandissimi animali sono spariti, quasi contemporaneamente, dalla faccia della
terra. Una delle più accreditate e moderne teorie, fa risalire questo accadimento nel
terziario, circa 65 milioni di anni fa, alla esplosione di una supernova nelle vicinanze
del nostro sistema solare, ad appena 880 anni luce dalla Terra; una bazzecola! Le
radiazioni avrebbero interferito sulla capacità riproduttiva di tutta le specie viventi
di grande, media e piccola taglia, portandoli alla estinzione nel breve volgere di una
generazione. Ne fu influenzato anche il plancton che modificò in parte la sua struttura.
Sopravvissero solo alcune classi di piccoli animali e da questi ripartì l'evoluzione
della specie, ricominciando tutto da capo, o quasi.
Ma torniamo all'uomo. Gli abitanti dei boschi, per rispondere agli
innumerevoli misteriosi interrogativi della natura, come la nascita, la morte, le piogge,
i lampi, i tuoni, il sole, le stelle notturne, la luna con le sue fasi, la crescita dei
frutti, il fuoco, il gelo dell'inverno, e così via, avevano individuato forze misteriose
alle quali attribuire la causa di quei fatti, per la loro mente, così strabilianti e non
diversamente spiegabili: stiamo assistendo alla nascita della religiosità, con tutte le
collaterali animistiche, le credenze, i cerimoniali, i tabù, i totem, le divinità che
tanto più importanti erano quanto più era inspiegabile e misterioso l'evento che
rappresentavano.
Uscendo quindi nella prateria, l'uomo si portò appresso tutto il
bagaglio religioso, e trasferì sui prodotti del suolo, così come aveva fatto con gli
animali dei boschi, la sua cultura animistica.
Nacquero allora le divinità agricole: la dea Nidaba dei Sumeri, la vacca solare Hanub
degli egiziani e Cerere, la dea romana del raccolto.
La popolazione delle divinità crebbe così a dismisura: una per
ogni evento, spesso doppioni importati dalle tribù o popolazioni limitrofe. Gli dei erano
tanti, potenti e spesso pericolosi. Occorreva ammansirli, ingraziarseli. Nacquero così i
riti propiziatori, i sacrifici che volevano essere di buon auspicio e di espiazione nello
stesso tempo.
Nei boschi l'uomo offriva alle divinità le bacche, le radici
raccolte, i piccoli animali; quindi animali più grandi ed in maggior numero in rapporto
alla ricchezza alimentare raggiunta. Nella evoluzione del sistema si spiegano così i
sacrifici umani, estrema espiazione delle colpe, estrema volontà di accattivarsi le
terribili divinità negative. L'uomo giunge sino al sacrificio di se stesso, o dei propri
figli, per arrivare al sacrificio di altri uomini che immola in vece sua, dopo essersi
identificato nella vittima. Da ciò le guerre tribali, non solo tese alla conquista di
territori, ma anche per rifornirsi di prigionieri da utilizzare quali schiavi e quale
materia prima per i riti espiatori.
L'esempio più significativo, sopravvissuto dalla notte dei tempi
sino al medio evo, ci viene dal popolo Atzeco. Quando Cortes conquistò il Messico nel
1519, scoprì con raccapriccio gli orrendi sacrifici umani che questo popolo compiva in
onore delle proprie divinità, raggiungendo la non indifferente cifra di 20.000 vittime
all'anno, vittime che si procurava con interminabili guerre combattute contro le più
deboli popolazioni limitrofe. La storia racconta che quando Cortes, animato da buoni
propositi - dopo però aver sistematicamente spogliato quel popolo di tutti i suoi tesori
e di tutte le sue ricchezze - volle iniziare Montezuma, l'ultimo Imperatore Atzeco, ai
misteri della religione Cristiana, fu l'Imperatore a provare a sua volta orrore e
raccapriccio: "E' vero - si narra abbia risposto a Cortes - noi per onorare le nostre
divinità uccidiamo uomini e ne divoriamo il cuore, ma sono pur sempre uomini,
infinitamente piccoli e poco importanti rispetto alla grandezza dei nostri dei. Ma voi per
onorare il vostro dio ne divorate le sue carni e ne bevete il suo sangue!" e con
questo si riferiva al Sacramento della Comunione.
Era lo scontro fra due civiltà, scontro che, come spesso é
avvenuto nella storia dell'umanità, é finito con la soppressione di quella più debole.
Questa lunga premessa, per arrivare a soffermarci con più
attenzione su un particolare aspetto della lunga catena dei riti propiziatori e
sacrificali: quello dei cereali.
Occorre sottolineare che le cerimonie sacrificali avevano due
principali aspetti simbolici. Il primo, probabilmente il più significativo, attraverso la
totale combustione del cibo, sia vegetale che animale, quale rinuncia al cibo stesso, per
far giungere, attraverso la fiamma ed il fumo, l'intima essenza del sacrificio sino alla
divinità. Nel secondo aspetto il sacrificio si compiva divorando il cibo sacrificale, in
onore della divinità; in questo atto, il sangue della vittima, liquido misterioso che
fuoriuscendo dal corpo ne spegne la vita, ha un significato di estrema importanza. Bevendo
la coppa di sangue se ne ingerisce l'essenza sacrale, l'essenza vitale con la quale si
onora dio. Con altrettanta sacralità si spreme il succo dei frutti per estrarre la parte
più intimamente essenziale; questo forse il motivo per il quale il primo uomo ha spremuto
l'uva, con quel che ne consegue.
Questo stesso principio ha indotto probabilmente l'uomo a far
macerare la farina di frumento nell'acqua, per estrarne la vitalità, birra primordiale
passata, nell'uso, da bevanda sacrificale a bevanda abituale. Non sembra quindi ardua la
tesi che le origini della birra risalgano sino dai tempi della scoperta dell'agricoltura.
La sacralità della birra, impiegata nelle cerimonie religiose, si ritrova in tutta la
letteratura storica, dalla sumerica alla egiziana, come vedremo più avanti.
Se ci addentriamo profondamente nella storia, scopriamo, forse con
sorpresa, che, ancor prima delle popolazioni germaniche, grandi bevitori di birra furono i
Sumeri e gli Egiziani. La "culla della civiltà" é stata la prima patria di
preparatori e bevitori di questa nobile bevanda. Fiumi di birra hanno attraversato per
millenni l'Asia e l'Egitto, principale bevanda del tempo, a rinfrescare gole assetate,
quale preziosa merce di scambio e di commercio, sacrale lavacro e offerta votiva nelle
cerimonie religiose. Se ne conosce perfettamente le tecniche di produzione, ampiamente
codificate nei testi sacerdotali che la definiscono di origine divina, a riprova del
carattere nutrizionale, oltre che inebriante, che la fanno assurgere a fasti di bevanda
nazionale.
Se é vero che si beve vino sino dai tempi di Noé, si beve birra
almeno sino dai tempi dei nipoti di Noé. Racconta la Bibbia che Noé fu il primo uomo a
piantare la vite e ad estrarre dall'uva un succo che trovò talmente gustoso da berne al
punto da cadere in terra completamente ubriaco, facendogli perdere ogni dignità umana,
tanto da suscitare le ire delle sue nuore, scandalizzate dalle oscene nudità che nei fumi
dell'alcol metteva in mostra. Il resto della storia é nota: dalla costruzione dell'Arca
al diluvio universale, evento che ha certamente una sua validità storica dal momento che
si ritrova nelle leggende di moltissime religioni, fra queste nella epopea
Assiro-Babilonese di Gilgamesch, che si perde nella notte dei tempi.
Narra una antica leggenda Irlandese che Cassair (o Cesara), nipote
appunto di Noé, probabilmente stanco di quel nonno barboso e dalla lunga permanenza
nell'Arca, in mezzo a tutti quegli animali, che fra l'altro non dovevano proprio olezzare
di rose, decise di abbandonare la navicella allontanandosi su una barchetta, portando con
se le sue poche cose, e fra queste, un pentolone di coccio con il quale era solito
prepararsi dell'ottima birra. Navigando per il vasto mare, approdò, dopo un periglioso
viaggio, sulle spiagge dell'Irlanda dove scoprì che già da oltre mille anni gli abitanti
di quell'isola preparavano birra, secondo una ricetta misteriosa e segreta di cui erano
gelosi custodi i Fomoriani, antichi e tenebrosi abitatori delle foreste, metà uomini e
metà uccelli.
Facciamo adesso un pò di conti.
Noé visse sino a 950 anni; quando aveva 600 anni avvenne il
diluvio dal quale scampò anche Cassair. Presumiamo che piantò la vite all'età di 300
anni. Quando Cassair sbarcò in Irlanda i Fomoriani già producevano birra da oltre 1.000
anni.
Dunque la birra é più vecchia del vino di almeno 700 anni!
Scherzi a parte, ed a parte ogni leggenda, la birra fu certamente
la prima bevanda mai consumata dall'uomo. Molto tempo prima della vite, già si coltivava
nel mondo l'orzo che, spontaneo o coltivato, fu ed é presente in tutte le latitudini
della terra, mentre é noto che la vite cresce solo nella fascia temperata.
Quando gli assiro-babilonesi e gli egiziani, oltre tremila anni
prima di Cristo, avevano avviato la loro splendida civiltà che li vedeva grandi
costruttori di città, dense di operosa popolazione, abilissimi vasai, forgiatori e
cesellatori di metalli, ottimo tessitori ed abili tintori, capaci allevatori ed
agricoltori, conoscevano la scrittura, cuneiforme e geroglifica, sapevano tener di conto,
ed infine conoscevano le tecniche di preparazione delle loro birre, la civiltà
mediterranea era ancora nel paleolitico.
La penisola italica, terra a particolare vocazione vitivinicola,
era ancora nell'età della civiltà villanoviana. Gli abitanti quando non vivevano nelle
caverne, abitavano capanne di paglia e fango costruite su palafitte nelle aree
perilacustri. Si dedicavano ancora alla raccolta delle bacche alternando una forma
primitiva di semi agricoltura. Praticavano la pesca e la caccia, ed erano appena agli
albori di una forma arcaica di allevamento. I suoi strumenti erano asce di pietra
levigata; falcetti, raschiatoi, coltelli, punte di lance e di frecce ricavate dalla selce.
L'era del bronzo antico inizia fra il XIX° ed il XVIII° secolo
avanti Cristo, e il settentrione della nostra penisola era ancora avvolta nelle nebbie
della Cultura Polade e il vino era ancora nella notte dei tempi. |