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Il mio pub preferito
Michael
Jackson
Slowine numero 3, luglio - settembre
2001
Al White Horse, il migliore pub di Londra, la birra -
una vera ale - è spillata con una pompa a mano e il cantiniere, Mark
Dorber, è così amato da essere stato reintegrato a furor di popolo dopo un
improvvido licenziamento.
Immaginate di trascorrere un lungo fine
settimana a Londra. Magari farete un salto negli eleganti magazzini Harvey
Nichols e poi due passi per Sloane Street fino alla General Trading
Company. È qui che le figlie dell’alta borghesia, o di gente che crede di
farne parte - le «Sloane Rangers» - ordinano i regali di nozze. In Sloane
Square girate in King’s Road e proseguite più di quanto aveste in mente
finché penserete di esservi persi. Tanto per gradire, il quartiere si
chiama «La fine del mondo». È terminata King’s Road? Tenta di farlo,
contorcendosi e girando, fino a trasformarsi in New King’s Road.
Oltrepassate una piccola zona di prati non recintati, tipo il verde
pubblico di un paese, poi arrivate a un’altra. Mi dispiace che ci sia
voluto tanto, ma è stata una mattinata, o un pomeriggio, molto gradevole:
guardare vetrine, osservare la gente, camminare. È il momento di
riposarsi, di bere qualcosa, fare pranzo o cena. Non posso garantire la
qualità del riposo, ma per quanto riguarda bere e mangiare ci sono tutte
le premesse per un momento memorabile. Nel secondo spiazzo verde ci sono
due pub. Li riconoscerete: un pub inglese come si deve ha un certo
aspetto. Come? Come un pub. Potete affermare con sicurezza che non è un
bar o un ristorante, ed è una delle cose fantastiche di un vero pub,
facile da individuare anche quando è nascosto (il che vale per alcuni dei
migliori). È un’istituzione inglese; esiste anche in Galles, mentre gli
alberghi e i bar della Scozia e dell’Irlanda hanno un proprio carattere,
decisamente diverso. Il pub inglese non è nato in un sol giorno. Uno
dei primi visitatori italiani a Londra, Giulio Cesare, scrisse che i
Britanni erano «soliti raccogliersi» in luoghi in cui bevevano birra.
Crociati e pellegrini bevevano in taverne nei monasteri. Gli attori
girovaghi dell’epoca di Shakespeare si esibivano nei cortili delle
locande. Il termine «public house», da cui pub, entrò nell’uso comune solo
nel 1854, quando fu usato in un Comitato Ristretto della Camera dei
Comuni. Gli immensi pub di quel periodo servivano per intrattenere gli
operai attirati nelle città dalla rivoluzione industriale. Vi propongo
il pub all’altra estremità del verde. È stato soprannominato Sloaney Pony
da qualche bello spirito, ma guardate che è proprio il genere di nome che
inventano i pubblicitari. I nomi dei pub non sono inventati ma si
evolvono, come fanno i pub stessi da più di duemila anni. Il vero nome di
questo è The White Horse, forse un simbolo pagano in Inghilterra e di
certo l’emblema della contea di Kent, contigua a Londra, in cui si coltiva
il luppolo. Se il tempo era abbastanza bello da permettervi questa lunga
passeggiata, troverete gli avventori all’aperto, intenti a parlare e bere,
qualcuno seduto su panche, altri chini, altri ancora in piedi. L’attività
più importante in un vero pub è chiacchierare, e perciò non siete
obbligati a sedervi: da seduti è difficile attaccare discorso con degli
estranei. I veri pub non fanno servizio ai tavoli, a meno che decidiate di
mangiare; ma non si è costretti a farlo, anche se in genere è possibile
avere qualcosa. Andate al bancone e ordinate una birra. Un locale che non
serve birra non è un pub; è un wine bar, un cocktail bar o qualcos’altro.
Un pub degno di questo nome vende sempre molta più birra che vino o
superalcolici, anche se vende quasi sempre anche questi. E se uno muore
di sete? Potete risparmiare tempo evitando vetrine e passeggiata e andando
direttamente al pub. Da Central London prendete la metropolitana, linea
District (quella verde sulle mappe), direzione Westbound, e assicuratevi
che il treno prenda la diramazione per Wimbledon. Scendete a Parson’s
Green, girate a destra quando uscite dalla stazione, percorrete circa
duecento metri in leggera salita e siete arrivati allo spiazzo verde, con
il pub alla vostra sinistra. Lasciando da parte il mio locale, com’è
opportuno in questi casi, The White Horse di Parson’s Green è
incomparabilmente il miglior pub di Londra. Le piastrelle dell’ingresso
hanno un singolare sapore shakespeariano e alcune parti del locale
risalgono come minimo al 1688, ma questo è secondario. Il grosso
dell’edificio è degli anni Settanta dell’Ottocento, il che non è insolito:
come tanti altri pub, era una locanda per chi viaggiava in carrozza. Ma
non fate troppo caso a tutto ciò: non è un monumento storico, ma un pub
vivo e pulsante. E non è neppure un posto per turisti, anche se spesso in
qualche angolo scorgerete tre o quattro appassionati di birra giunti qui
da terre lontane. Sono quelli che annusano e assaggiano ciascuno le birre
degli altri: classici mondiali come la tedesca Aventinus Dunkles
Weizenbock, dal gusto di cioccolato; la maltosa Abbot del monastero
trappista belga di Westvleteren (che si trova solo all’abbazia); la
Highgate Mild Ale delle Midlands inglesi, quasi introvabile (le ales
britanniche prodotte intorno a Londra sono una specialità del locale);
oppure una Pale Ale americana di un microbirrificio, intensamente
aromatica. Non è il genere di offerta che si trova di solito in un pub
inglese. Non mancano gli appassionati di birra inglesi, che leggono
opuscoli in difesa della «vera» ale e sorseggiano con soddisfazione pinte
di birre color bronzo, rame o mogano. La gamma delle birre cambia
continuamente, ma in nessun altro pub inglese è altrettanto indovinata.
Qualche volta ci troverete anche un branco di «Sloane Rangers» con i loro
ragazzi, che di solito si chiamano Henry. Questi ultimi brandiscono una
dorata lager della Repubblica Ceca, le loro amiche uno Chardonnay del
Nuovo Mondo. La metà circa degli avventori sono locali: attori, gente
della televisione o semplici, benvenuti anonimi.
Cucina e birre belghe Anche se non bevete birra - e ho
saputo che esistono esseri bizzarri di tal fatta - la prova cruciale per
un buon pub è la qualità, in specie in Gran Bretagna con la sua tradizione
unica di «vera» ale, che dev’essere non pastorizzata, non filtrata, spesso
di bassa gradazione alcolica e quindi molto delicata. Viene spillata con
una pompa a mano in modo che la pressione del gas non interferisca con il
gusto. Il cantiniere, nascosto sotto la strada, è il navigatore
invisibile. La birra viene consegnata al pub volutamente non finita,
ancora «viva», affinché possa subire una seconda fermentazione nel fusto.
La cantina deve essere mantenuta alla temperatura giusta, con
un’escursione limitata (dai 10 ai 13 gradi), e il livello di
carbonatazione valutato e mantenuto attraverso l’apertura del fusto (uno
zipolo poroso viene inserito nel tappo quando bisogna ridurla). La
disposizione delle scorte e il lavoro in cantina servono a garantire
che la birra in fusto raggiunga la condizione migliore esattamente nel
momento in cui finisce il fusto precedente. Se l’oste riesce a conservare
bene tutte le sue birre è un uomo coscienzioso, e, statene certi, non
trascurerà nessun altro aspetto. Gli appassionati di birra compiono
pellegrinaggi nella cantina di The White Horse. Nei venticinque o
trent’anni da che scrivo di birre di tutto il mondo, non ho mai incontrato
una persona altrettanto fissata sull’arte del cantiniere come Mark Dorber,
ma non è tutto: fa «vacanze» nei paesi vinicoli, va a caccia di formaggi
sulle due sponde della Manica e trova perfino il tempo per ospitare
l’originale degustazione di whisky. Come abbia maturato queste fissazioni
è una storia singolare. Due sue zie gestivano un pub in un quartiere
portuale turbolento di Manchester, ma Dorber studiava politica
internazionale allo London School of Economics e, per integrare la borsa
di studio, grazie a un amico si ritrovò a dare una mano nella cantina di
The White Horse. Il quartiere si stava popolando di borghesia benestante e
la nuova ostessa si proponeva di elevare il livello del pub. Questo
diventò prima un progetto comune e poi una doppia vita inconsueta: Dorber
ha continuato a farsi carico della cantina dopo essersi laureato e nei
quindici anni in cui ha proseguito la carriera di economista in uno studio
legale nella City di Londra. Nel 1995 la signora andò in pensione e Dorber
lasciò lo studio, rilevando la gestione del pub. Sapeva di andare incontro
a mille problemi, ma subì un colpo durissimo: The White Horse, pur
offrendo un’ampia gamma di birre, è di proprietà di una fabbrica di birra
nazionale e il direttore regionale decise che Dorber non era abbastanza
«aziendale»; così, pochi mesi dopo aver rinunciato a un’occupazione ben
remunerata, Dorber fu licenziato dal White Horse. Ma ci fu una
sollevazione degli esperti londinesi di cibo e bevande, che si scatenarono
sui giornali finché Dorber non venne reintegrato. La Gran Bretagna è piena
di pub, ma quelli davvero buoni sono pochi e quando vengono minacciati
esplodono le proteste.
I
piatti genuini, prodotti con ingredienti di qualità, fanno parte da molto
tempo della tradizione di The White Horse, ma venivano serviti sul bancone
ed erano quelli preferiti dei pub, come polpette di pesce, salsicce e purè
o panini di carne. Oggi si può ancora mangiare al bancone e questi piatti
vanno tuttora per la maggiore, ma nel 1999-2000 Dorber ha aperto nella
vecchia scuderia una sala da pranzo per non fumatori. Con l’aiuto della
moglie Sophie ha cominciato a offrire pranzi in cui le portate sono
accompagnate da birre classiche. Dopo la nascita del figlio hanno assunto
una cuoca, Heidi Flett, un’australiana di 26 anni che ha lavorato
all’Aria, il ristorante di Matthew Moran accanto alla Sydney Opera House.
Heidi ha creato alcuni piatti fantastici, accompagnati da birre in primo
luogo belghe: soufflé di granchio con la birra di frumento Hoegaarden di
sapore citrino; insalata di foie gras caldo con accompagnamento della
fruttata, acidula, tannica Rodenbach Grand Cru affinata in rovere;
merluzzo al forno con limone e gamberetti al peperoncino, servita con la
dorata Duvel; pudding di cioccolato con la ricca e scura ale del monastero
di Rochefort. Oggi ci sono anche alcune sale da pranzo private al piano
superiore. C’è il rischio di perdere un pub classico perché si
trasforma in ristorante? Un simile evento verrebbe considerato una
calamità, anche se in Gran Bretagna sono più numerosi i buoni pub dei
grandi ristoranti. «La caratteristica fondamentale del pub è che puoi
startene al banco a bere birra alla spina», afferma Dorber. «È questo che
distingue un pub. In questo paese la distinzione è ancora più specifica:
birra alla spina condizionata in fusto. I pub inglesi dispongono di
cantine e dovrebbero usarle. Lungi dallo sfidare le tradizioni del pub,
noi cerchiamo di allargare gli orizzonti della gente su ciò che può
essere». È un progetto ambizioso, che dipende dal fatto di trovare aiuti
sostanziali. In un pub che è altrettanto inglese e cosmopolita della
stessa Londra, Dorber ha trovato un potenziale cantiniere, Alfredo Riva, i
cui genitori gestiscono un negozio alimentare in
Piemonte.
Buoni indirizzi
Le birre di Londra A Londra ci
sono due birrifici di livello mondiale, entrambi a conduzione familiare,
specializzati in birre alla spina pompate a mano e condizionate in fusto.
Fuller’s, che si trova nel vecchio quartiere di Chiswick sulla
strada che proviene dall’aeroporto di Heathrow, rifornisce soprattutto i
pub dei quartieri nordoccidentali (assaggiate la Chiswick Bitter, la
London Pride e la Extra Special Bitter). Le birre di Young’s, a
Wandsworth, si trovano più facilmente nei quartieri sudoccidentali (da
provare la Bitter, la Special Bitter e la Special London Ale in
bottiglia).
Altri pub di
qualità Nessuno di questi pub si trova facilmente, ma vale
la pena di cercarli. In West London, accanto al fiume a Richmond (una
zona ricca di buoni pub), troverete The White Cross, con le birre
di Young’s, frequentato da giovani. Bevete all’esterno (dalla stazione di
Richmond percorrete la strada dei negozi eleganti e arriverete al
fiume). Sul fiume, a Hammersmith, si trova The Dove, con le
birre di Fuller’s. Risale al Seicento e si dice che fosse frequentato da
Carlo II; più probabilmente vi si recava Ernest Hemingway. La storia di
questo locale traspare dalle mura e il salottino privato è il più piccolo
della Gran Bretagna. La terrazza si protende sull’acqua (dall’accesso allo
Hammersmith Bridge scendete gli scalini di pietra che portano alla riva
del fiume e camminate per due o trecento metri oltrepassando i pub Blue
Anchor e Rutland e un piccolo spiazzo erboso). In Central London, nel
quartiere delle ambasciate non lontano da Knightsbridge, c’è The Star
Tavern al 6 di Belgrave Mews West. Birre di Fuller’s. Una delizia
georgiana. Chiude a metà pomeriggio e qualche sera nei giorni feriali
(tel. 020-7-235-3019). Dalle parti di Berkeley Square si trova The
Guinea al 30 di Bruton Place. Birre di Young’s. È un grazioso pub nel
cuore del West End. Dietro c’è uno steak restaurant eccellente ma caro,
frequentato nel corso degli anni da reali e gente dello spettacolo. Chiuso
la domenica (tel. 020-7-409-1728). A Bloomsbury in Lamb’s Conduit
Street si trova The Lamb, che propone le birre di Young’s. Classico
interno di fine Ottocento. Non vi allarmate se l’avventore accanto ha un
camicie bianco e uno stetoscopio: il locale è popolare tra i medici di
vari ospedali vicini.
Giugno 2005 |