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Slowine numero 1, gennaio - marzo
2001
Le cattive notizie. "C’è una nuova ondata di acquisti
di dimensioni senza precedenti. Per tutti i grandi birrai oggi il mercato
è il mondo intero".
Un mondo con un unico vino sarebbe un luogo felice? No,
naturalmente. Una sola birra per tutto il mondo? I grandi produttori hanno
cercato per decenni di creare marche internazionali di birra, e per anni
non ci sono riusciti; oggi però il loro sogno sta per realizzarsi. I
birrai sosterranno di non essere in grado di imporre un’uniformità se il
consumatore non la desidera: dunque molti consumatori sono perlomeno loro
complici. Perché? La maggior parte di loro conosce meglio il vino della
birra, anche se il mondo beve molta più birra che vino. E dato che la
conoscono tanto poco, pensano di essere più sicuri rivolgendosi a un nome
conosciuto, a un prodotto privo di una complessità impegnativa di aroma,
gusto e finale. Immaginate un mondo nel quale gli unici vini esistenti
siano bianchi secchi, pallide imitazioni degli Chardonnay francesi. Con
l’eccezione della Guinness (una stout) e della Bass (una
ale), tutte le birre conosciute a livello internazionale
appartengono alla stessa tipologia (imitazioni pallidissime della
Pilsener lager, praticamente indistinguibili l’una
dall’altra).
Diversi produttori di queste imitazioni internazionali
della Pilsner hanno cercato di conquistare il mondo. In maggioranza
provenivano da paesi con una popolazione esigua e quindi con un mercato
locale modesto. La prima, negli anni Sessanta, è stata la canadese
Carling, ma non aveva attrattive particolari e quindi ha fatto
fiasco. Il concorrente successivo è stato la Foster’s, che ha
cercato di associare il proprio prodotto a presunti "valori" australiani:
l’uomo temerario, atletico, amante della vita all’aperto. Non c’è alcun
nesso tra questi "attributi" e la birra. La Foster’s è popolare ma non ha
conquistato il mondo. L’enorme mercato degli Stati Uniti ha sempre
deluso la danese Carlsberg, una sfidante più ostinata. Gli
americani non associavano immediatamente la Danimarca alla birra: questa
nazione vanta una grande tradizione birraria, ma forse non ha un’identità
sufficientemente chiara. Anziché rivolgersi a occidente, oggi la Carlsberg
guarda a nord e a est, con offerte di acquisto che le darebbero il
controllo di ogni fabbrica di birra di medie e grandi dimensioni nei paesi
nordici e baltici. Il mercato americano ha riservato maggiore successo
alla Beck’s, forte delle sue origini tedesche. La Beck’s di Brema è
uno dei pochi birrifici costieri della Germania. Tradizionalmente, i
birrai tedeschi guardavano quasi sempre all’entroterra, al più grande
mercato interno d’Europa. Per decenni l’America è stata un grande mercato
per la Heineken, prodotta in una nazione prevalentemente costiera e
rivolta all’esterno. La birra olandese paga oggi il suo successo: negli
Stati Uniti è diventata troppo familiare per presentare attrattive
speciali.
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La stessa sorte potrebbe capitare ai produttori che più
recentemente hanno cercato di dominare il mondo. L’americana
Budweiser è stata per anni praticamente sconosciuta al di fuori
degli Stati Uniti, mentre oggi è sulla bocca di ogni giovane consumatore
europeo con il cappellino da baseball all’indietro, da Belfast a Bologna.
La pubblicità la presenta come una birra "leggera" - e "moderna", benché
abbia più di cento anni - ma la popolarità tra i giovani può trasformarsi
in un successo a lungo termine? La mortale nemica della Bud, la
Miller Lite, è quasi altrettanto onnipresente. I dirigenti della
Miller devono essersi messi a ridere leggendo recentemente che la loro
azienda è considerata un futuro obiettivo di acquisizione da parte del
birrificio inglese Scottish and Newcastle, molto più piccolo. Più piccolo
sì, ma deciso a imporsi a livello internazionale. La Scottish and
Newcastle sta inghiottendo la francese Kronenbourg, che è proprietaria di
birrifici in Belgio e controlla l’italiana Peroni. Frattanto, in una sorta
di contrappasso, la Bass and Whitbread della Gran Bretagna è stata
assorbita dal gigante mondiale belga Interbrew, che produce la Stella
Artois. Insomma, c’è una nuova ondata di acquisti di dimensioni senza
precedenti. Per tutti i grandi birrai oggi il mercato è il mondo intero.
Continueranno a presentare le loro birre di stile internazionale come
delle super-premium, in certo qual modo superiori a quelle
nazionali o locali, ma com’è possibile? Una birra da vendere a tutti non
deve dispiacere a nessuno e quindi ben difficilmente può appagare
chicchessia. Le birre internazionali si vendono solo se si appellano al
minimo comun denominatore del gusto; sono la risposta del mondo della
birra ai McDonald’s. Il loro tentativo di diventare internazionali è
dettato in parte dall’esempio di altre industrie che hanno marchi globali.
Un secondo fattore è che i produttori delle tradizionali nazioni birrarie
si trovano ad affrontare una riduzione della domanda sul mercato interno.
I paesi di maggiore tradizione birraria sono stati anche in prevalenza le
prime nazioni industrializzate; quando spariscono le miniere di carbone e
le acciaierie, i lavoratori trascorrono più tempo davanti al computer e la
sete diminuisce. Inoltre, i consumatori si preoccupano del proprio peso e
della propria salute e devono stare attenti quando guidano; ciò
nonostante, apprezzano ancora una buona birra. Il reddito di cui
dispongono è più alto che mai e sono disposti a spendere di più per bere
meno. Vogliono bere meno ma meglio, bere di meno ma gustare di più. I
produttori di birra che hanno investito miliardi per soddisfare un mercato
di massa liquidano la cosa parlando di "consumo di nicchia", e, mentre
loro ignorano la realtà, i consumatori, con un ribaltamento di ruoli nel
villaggio globale, si rivolgono al vino... È vero che i cittadini dei
paesi produttori di vino stanno passando alla birra, ma purtroppo non in
quantità sufficiente da compensare le perdite.
Anche se si avviano
a conquistare il mondo, le imitazioni internazionali della Pilsener
sembrano essersi impoverite, sono diventate troppo anemiche. Probabilmente
hanno toccato l’apice del carattere cinquant’anni orsono, un secolo dopo
la nascita della Pilsener originale in Boemia. Tipologie più vecchie
cominciano oggi a riprendere slancio, dopo essersi diffuse a un ritmo più
moderato. Le birre di stile internazionale, onnipresenti, pubblicizzate in
misura massiccia e identiche nel gusto, hanno stancato se non irritato una
minoranza consistente di consumatori avveduti, i quali si rivolgono a
birre più dotate di carattere. Anche le più grandi fabbriche di birra
offrono prodotti simili, anche se raramente si impegnano a fondo per
venderle e a volte le lanciano solo sul mercato interno. Per esempio, la
Foster’s produce una lager scura soffice dal sentore di noce, la
Dogbolter. La Carlsberg ha appena prodotto in via sperimentale una
ale caramellata, nello stile delle birre di abbazia. La Beck’s ha
lanciato una birra di uno stile un tempo tipico della Oktoberfest di
Monaco, che però si può trovare soltanto negli Stati Uniti. Heineken
presenta una meravigliosa birra scura di frumento, ma solamente nei Paesi
Bassi (è stata venduta per un breve periodo negli Stati Uniti,
pubblicizzandola in parte in olandese). Budweiser ha provato con
ales amare, floreali, intensamente luppolate nello stile del
Nordovest americano. Miller produce una birra di frumento di tipo belga
deliziosamente speziata, chiamata Celis White (ma sta vendendo lo
stabilimento che la produce). Scottish e Newcastle vanta una celebre Brown
Ale. La vastissima gamma della Interbrew comprende birre dal gusto vinoso
prodotte con lieviti naturali. Tra tutte queste, soltanto la Newcastle
Brown è ampiamente presente sui mercati internazionali. Per trovare birre
davvero ricche di carattere il viaggiatore farà meglio a rivolgersi a
birrifici nazionali o regionali. Mentre le grandi compagnie cercano con
alterne fortune di creare marchi mondiali, oggi una serie di prodotti di
piccolissimi birrifici gode di fama realmente internazionale. Una
fabbrica di birra che ha sempre ambito a questa fama è la Anchor di
San Francisco: la Steam Beer vivacemente secca e la Liberty Ale
intensamente amarognola e stuzzicante sono una leggenda per appassionati
di birra che vivono a migliaia di chilometri di distanza. Anche la
Samuel Adams Boston Lager, prodotta sull’altra
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costa, è conosciuta in tutto il mondo. Pur essendo meno ricca di
carattere, è di gran lunga superiore alla birra americana
convenzionale. Gli appassionati di birra, dagli Stati Uniti alla Svezia
fino all’Italia, conoscono le ales inglesi di grande equilibrio del
birraio londinese Fuller’s. In Gran Bretagna questo birrificio è
associato alla periferia nordoccidentale di Londra. Le ales, le
porter e le stouts fermentate in contenitori di pietra della
Samuel Smith sono di moda in varie parti del mondo, ma nella natìa
Inghilterra sono create nella contea settentrionale dello Yorkshire. A
Washington, D. C., un bar famoso per le birre, il Brickseller, serve
spesso la Traquair House, una forte ale scura prodotta in un
castello della Scozia; un’altra birra offerta spesso dal locale, anch’essa
scozzese, è una ale aggiunta di erica. Recentemente sono stato a
una cena a Philadelphia in cui sono state servite una dozzina di
variazioni della lambic Cantillon alla spina, una birra
fortemente asprigna. Una versione della Cantillon maturata su lamponi
artici è venduta alla spina in un pub di Stoccolma. Una dozzina di
Cantillon in un bar o la versione al lampone sono entrambe realtà
sconosciute in Belgio, il paese dove nasce questa birra. Tra le specialità
belghe maggiormente diffuse c’è la Duvel, una ale dorata
dall’aspetto innocuo che racchiude un contenuto alcolico due o tre volte
superiore a quello delle birre più convenzionali e ha un gusto che ricorda
il brandy di pere. Un’altra birra belga che si sta facendo una fama in
tutto il mondo è la Chimay di un’abbazia trappista. Questa birra che
ricorda il Porto si trova facilmente perfino in Giappone. Questi
prodotti perderanno personalità nel tentativo di vendere di più? Spero di
no, anche se mi pare che la Chimay abbia perso un po’ di carattere.
Se succederà, saranno sostituiti da altri nel cuore degli
appassionati. Mentre il mondo sta velocemente imparando a conoscere le
birre speciali del Belgio, altre grandi nazioni produttrici di birra
paiono addormentate. Se la particolare birra di frumento tedesca si sta
affermando a livello internazionale, i grandi birrifici di Dortmund e di
Monaco sono più pronti a farsi guerra l’un l’altro che a dare l’assalto ai
mercati mondiali. Parimenti, gli aspetti più distruttivi del capitalismo
occidentale stanno insidiando i grandi birrifici della Repubblica Ceca,
ormai liberi dalla benevola negligenza del periodo comunista. La Pilsener
originale ha un po’ perso il suo carattere ma è tuttora una buona birra.
Se lo perderà abbastanza da conquistare il mondo, forse un altro
birrificio ceco più piccolo si metterà a riprodurre l’originale. La
marea montante di birre insipide avrà raggiunto tra breve la sua massima
estensione, dopo di che non potrà che ritirarsi riportando alla luce le
birre slow di carattere duraturo.
Giugno 2005 |