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Il paradiso
belga
Davide
Faggioli
slow numero 8 gennaio-marzo 1998
È forse impossibile dire quante siano le varietà di birra
prodotte dalle 111 birrerie belghe; probabilmente più di 400, di certo si
sa che negli ultimi dieci anni ne sono state commercializzate nel paese
ben 3.600. Queste cifre, unite a un consumo pro capite di 104 litri,
che piazzano il Belgio al quinto posto tra i bevitori europei alle spalle
di Germania, Danimarca, Austria e Irlanda (l'Italia è ultima con 25,4
litri a testa), fanno sì che il paese possa essere definito a buon diritto
"il paradiso della birra". Il mondo delle birrerie belghe è eterogeneo.
Si va da colossi come l'Interbrew di Leuven, quarto al mondo con una
produzione di 36 milioni di ettolitri l'anno, a piccolissime aziende, come
Les Artisans Brasseurs di Namur dai cui impianti escono solo 250 ettolitri
di birra l'anno, i cui prodotti non verranno mai pubblicizzati né
commercializzati fuori dalla regione di origine, come avviene per le birre
trappiste di Sint Sixtus, vendute esclusivamente presso l'omonima abbazia
(Sint Sixtus Abdij, 8983 Vleteren, tel. ++32/57/400376).
Piccole e grandi birrerie contribuiscono a mantenere viva
una tradizione nazionale, una cultura
che ha radici antiche. Fino all'inizio del secolo ogni villaggio
disponeva di una propria birreria. Nel 1900 se ne contavano 3.223, che
producevano 14.617 ettolitri l'anno, cifra praticamente identica a quella
uscita dalle 111 birrerie nel 1995. All'inizio del secolo il consumo pro
capite era di 121,6, cifra tutto sommato modesta se paragonata ai 260
litri consumati dai cittadini di Anversa verso la fine del XVII secolo,
addirittura ridicola se confrontate al record di 400 litri raggiunto nel
1620 dagli abitanti della stessa città. E Anversa non era un caso isolato:
a Mechelen nel 1660 si bevevano 404 litri a testa (diventati 250 verso la
fine del XVII secolo) e nella seconda metà del XVI secolo l'ospedale di
Lierre dedicava il 16 per cento del proprio budget all'acquisto di birra.
Di fronte al calo sensibile del consumo pro capite, la quantità prodotta
resta comunque prossima a 1,5 milioni di ettolitri, visto che le
esportazioni hanno conosciuto un aumento costante, passando dai 5.000
ettolitri nel 1900 ai 4.880.000 nel '95. Le birre belghe sono ormai
presenti anche in Italia (oltre 206.000 ettolitri l'anno), in Giappone
(248.483 ettolitri importati nel '94), in Russia (120.631 ettolitri nel
'94).
Le nuove Nell'ultima decade molte birre
tradizionali sono sparite dal mercato e sono state sostituite da copie.
Alcune birrerie hanno cominciato a commercializzare prodotti non filtrati,
si sono sperimentate nuove tecniche di produzione e nuovi ingredienti come
il malto affumicato. Mentre dieci anni fa ai tradizionali ingredienti -
malto, luppolo, lievito e acqua - assai raramente erano aggiunte essenze e
aromi, oggi sono di moda le birre al gusto di frutta
(per esempio la Chapeau Tropical alla banana o la Belle-Vue Kriek
alla ciliegia), miele (la Cuvée d'Ariste e la 't Smisje, prodotta in soli
100 litri la settimana dalla De Regenboog, tel. ++32/50/373833) ed erbe
(la Minty, alla menta), peraltro poco apprezzate dai consumatori
tradizionali. Un altro interessante fenomeno degli ultimi anni è stato
l'acquisto di birrerie di media dimensione da parte delle più grandi al
fine di espandere la rete di distribuzione e di consolidare il difficile
mercato domestico. Un fenomeno che ha portato alla riduzione dei
produttori medi e di conseguenza alla sparizione di certe birre;
contemporaneamente è però aumentato sensibilmente il numero delle piccole
aziende, con un incremento del 15 per cento del numero delle birrerie. Per
ovviare alla scomparsa delle birre un tempo prodotte dalle ditte che hanno
cessato l'attività, le birrerie maggiori hanno riscoperto le cosiddette
"birre speciali", quali quelle d'Abbazia e Trappiste, le Gueuze, le acide
e le bianche, la cui richiesta aumenta costantemente. Inoltre è diventata
abituale l'emissione di prodotti specifici per ogni stagione: per Natale e
Pasqua e per eventi particolari. Da sempre accompagnata ai formaggi
locali, la birra è poi ritornata in cucina, nella preparazione di piatti
quali les carbonnades Flamandes , les fricadelles à la
bière, les oiseaux sans tête au Lambic, le lapin à la
Bruxelloise, les pruneaux à la bière.
Gli stili Per intraprendere un viaggio
all'interno della cultura della birra belga è necessario conoscere il modo
in cui le varie birre vengono classificate. Peter Crombecq, autore del
Bier Jaarboek, ottima guida di 456 pagine, purtroppo disponibile
solo in lingua fiamminga (ma è in vendita in Belgio una versione inglese
del suo CD-rom Belgische Bieren a 995 franchi contenente
informazioni su 1100 birre e 1400 immagini. Per informazioni tel.
++32/3/7755473), classifica le birre del suo paese in 44 stili differenti,
i quali possono essere suddivisi in tre categorie: stile base, sottostile
ed etichetta.
1. Lo stile base denota le proprietà
intrinseche di una birra. Esso dipende dai principali ingredienti e dal
processo di brassage. Può essere organizzato seguendo tre temi: gli
stili nazionali, cioè quelli considerati una specialità nazionale, diversi
cioè dai regionali; gli stili ispirati da esempi stranieri; gli stili
internazionali. 2. I sottostili consistono in
un'ulteriore categorizzazione in virtù di caratteristiche dovute
all'aggiunta di additivi: tipici sono gli aromi di frutti e di erbe. Un
sottostile può anche significare un raffinamento di uno specifico stile
principale. 3. L'etichetta porta spesso espressioni quali
"cuvée", "grand cru", "spéciale", "single", "double", "abbazia",
"trappista", più o meno significative. Spesso non danno alcuna
informazione addizionale ("cuvée", "grand cru"), qualche volta offrono
un'indicazione sullo stile base ("double", "triple").
Le trappiste Un discorso a parte meritano le
cosiddette birre "trappiste" - da non confondersi con le numerose birre
"d'abbazia" (per esempio la Leffe prodotta da Interbrew o la St. Feuillien
della Friart) - che, originarie appunto di un'abbazia, vengono oggi
prodotte da altre birrerie. Per legge solo cinque birre - Chimay, Orval,
Rochefort, Westmalle e Westvleteren - possono fregiarsi della
denominazione "trappista": queste, a garanzia della loro autenticità,
hanno creato un proprio marchio e sono tuttora prodotte nei monasteri dai
monaci e delle monache trappiste, appartententi all'ordine dei Cistercensi
della Stretta Osservanza. Le birre trappiste sono tutte ad alta
fermentazione (il mosto fermenta da quattro a sei giorni a una temperatura
tra i 15 e i 25 gradi) e a rifermentazione in bottiglia; hanno
generalmente gradazioni elevate (dal 5,2% vol. alcol della Orval al 12%
della Rochefort tappo
blu). Giugno 2005 |