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Birra, il nuovo business è senza alcol

Se è vero, come è stato detto più volte, che i tre quarti del business italiano della birra è in mano a quattro gruppi internazionali ( Heineken 35%, Sab Miller 25%, Carlsberg 9%, InBev 7%), è altrettanto vero che il futuro del mercato dipenderà dalla capacità dei produttori birrai di innovare l'offerta. Il problema è riuscire a fare tipi di birra che possano più di altri incontrare il favore dei nuovi consumatori, proprio ora che la congiuntura di settore segna il passo. Nel 2005 infatti, per il secondo anno consecutivo, la produzione accusa un calo di circa il 3%, l'import cresce dell' 8,8%, l'export crolla del 15% e i consumi restano imballati sui 17 milioni di ettolitri.

Una situazione piuttosto critica a cui è necessario trovare una via di uscita. Che non è certo dietro l'angolo. Le imprese ne sono consapevoli, per questo le più avvedute non rinunciano a cercare nuove soluzioni di sviluppo. Il che non può più avvenire con due, tre referenze ma con una gamma sempre più ampia e varia di prodotti che vanno dalle birre più tradizionali a quelle sempre più speciali.

Arrivando ad avere in portafoglio decine di proposte, comprese le birre analcoliche. Che, dopo il flop degli anni '90, sono tornate in auge sull'onda dell'affermarsi di stili di vita più attenti ai temi della salute. In Spagna, Paese che ha una domanda pro capite (82 litri) che sfiora tre volte quella dell'Italia (29), il peso della birra analcolica in dieci anni è salito al 9% del mercato totale. In Francia la stessa incidenza viaggia tra il 5 e il 6 per cento. In Germania, Paese più tradizionalista, è sotto l' 1 per cento. La stessa incidenza dell'Italia, dove però negli ultimi anni le imprese si sono rivelate assai più attente al fenomeno delle birre analcoliche.

«Certo, in Italia la domanda di questo tipo di birra è ancora marginale, tuttavia — spiega il direttore di Assobirra, Filippo Terzaghi— l'interesse sta aumentando. Per due ragioni: la prima si ricollega a un modello alimentare fatto di cibi più delicati rispetto al passato che si prestano a essere accompagnati da bevande altrettanto delicate. Il secondo motivo è riconducibile alle aziende produttrici che hanno sviluppato nuovi prodotti privi di alcol decisamente più buoni e gustosi».

Non solo le aziende aprono a questi prodotti, ma li sostengono pubblicitariamente. Sono di questi giorni le campagne di due gruppi che, tra una partita di calcio mondiale e l'altra, promuovono le loro birre mettendone in evidenza il contenuto innovativo.

Una proposta è quella firmata dal gruppo Heineken che ha lanciato "Moretti Zero", la «prima birra italiana a 0 gradi alcolici».
L'altra è la "Drive Beer" prodotta dal gruppo lucano Tarricone che ha preso come testimonial il pilota di Formula 1 Giancarlo Fisichella. In questo caso, però, la birra contiene 2,5 gradi alcolici; quindi, non è analcolica. Di qui l'intervento del gran giurì della pubblicità e dell'Antitrust che hanno ritenuto il messaggio ingannevole, intimandone il ritiro. Ma l'azienda piuttosto che bloccare la campagna ha modificato il messaggio eliminando l'aggettivo analcolico.

Un'altra area di intervento che le imprese seguono è quella delle birre speciali. Del tipo, per intenderci, "prima cotta" della birrificio Pedavena di Belluno, che dopo avere rischiato la chiusura, è riuscita a tornare sul mercato un mese fa con un prodotto accattivante e «con il riscontro positivo dei consumatori contattati» assicura l'a. d. Elianio Verando.

C'è poi il fenomeno delle microbirrerie ( locali che si autoproducono la birra che vendono alla propria clientela), che da una manciata d'anni sta letteralmente imperversando in tutta la penisola. «Ormai il successo delle microbirrerie è sotto gli occhi di tutti» spiega Roberto Picelli, un ex libraio che con altri due soci ha aperto a Bresso (Milano) l'Officina della birra annessa a un ristorante da 300 coperti al giorno.

Ormai, di queste "officine" in Italia se ne contano più di 170 e si prevede di arrivare a 200 entro l'anno. Un successo che non sfugge alle grandi industrie del settore. Anzi «è un fenomeno — spiega il presidente di Assobirra, Piero Perron — che seguiamo con attenzione e con molti di loro abbiamo avviato un dialogo costruttivo che ci permette di capire gli orientamenti del mercato».

Fonte Il Sole 24 Ore - GreenPlanet.it

Luglio 2006

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