E se anche una lattina di birra fosse in grado di dialogare con i computer? Se un
piccolissimo chip consentisse a qualsiasi bene di consumo di emettere una frequenza radio
percepibile da lettori e terminali? Ci troveremmo, noi consumatori finali, proiettati
dentro un Internet globale in cui i bit su cui viaggiano le informazioni sarebbero come
connessi con gli atomi degli oggetti rendendoli in grado di comunicare tra loro in modo
autonomo.
E' questo l'orizzonte della vita domestica a cui bisogna orientare l'immaginazione,
soprattutto dopo che l'Auto-ID Centre, laboratorio appartenente al Mit di Boston, ha messo
a punto un chip a radio frequenza di dimensioni ridottissime, appena un granello di
sabbia, e producibile a costi commercialmente accettabili, circa 20 lire l'uno. Questa
evoluzione tecnologica apre prospettive economiche sostanziose: a sostenere
finanziariamente l'Auto-ID Centre non c'è infatti solo l'Ucc (Uniform Code Council),
l'ente che ha inventato quei tradizionali codici a barre che verranno presto sostituiti
con i chip elettronici, ma anche imprese private come Procter&Gamble, Gillette, Philip
Morris, e Wal-Mart.
I microchip inseriti nei prodotti consentiranno di tenere questi ultimi sotto controllo in
ogni momento lungo la supply chain, la cosiddetta catena che dalla produzione raggiunge
gli scaffali del supermercato: quando per esempio i gelati staranno per esaurirsi nei
frigoriferi, un segnale radio consentirà all'addetto di provvedere, evitando quel
"fuori scorta" che tanto infastidisce la clientela (e tanti soldi fa perdere
alle aziende). Si tratta in sostanza di un codice che non è passivo come quello a barre,
ma attivo, in grado di "dialogare con il sistema della supply chain e di offrire
tante altre applicazioni rivolte anche alla vita domestica", come spiega Kavin
Ashton, direttore esecutivo e fondatore del Mit Auto ID Center.
La domotica, la disciplina che si occupa dell'integrazione dei dispositivi elettronici,
degli elettrodomestici e dei sistemi di comunicazione e di controllo che si trovano nelle
nostre abitazioni, ha in questi microchip l'elemento fondamentale del suo sviluppo: i
frigoriferi potranno infatti comunicare con le lattine di birra e ordinare autonomamente
l'acquisto di una nuova confezione quando saranno sul punto di esaurirsi, le lavatrici
saranno in grado di farsi dire dai maglioni di quale fibra sono fatti e di che colore sono
scegliendo di conseguenza il programma di lavaggio più indicato e dosando detersivo e
ammorbidente, i forni cuoceranno i polli prima del nostro ritorno a casa e via di questo
passo.
L'integrazione tra bit e atomi, il dialogo tra gli oggetti, saranno ancora più vicini al
compimento quando ogni libro che verrà spostato dalla libreria parlerà attraverso i chip
al computer centrale di casa comunicando la sua rimozione e quando la plastica dei
carrelli nei supermercati sarà in grado di avvertirci, dopo avere letto la nostra lista
elettronica della spesa, se abbiamo dimenticato qualcosa. Per tutto questo e per avere il
latte che ci comunica quando è prossimo alla scadenza, non occorrerà attendere troppo
visto che negli Stati Uniti è in avvio la fase di sperimentazione di questi microchip e
che il 2003 è la data prevista per la loro diffusione sul mercato.
Rimane ancora da affrontare però il problema della privacy: come è possibile accettare
l'idea di portare in casa propria tante piccole trasmittenti quanti prodotti abbiamo
acquistato al supermercato? Kavin Ashton spiega che si tratta di uno standard aperto, una
tecnologia cioè non chiusa con il suo brevetto in una cassaforte a doppia mandata ma
accessibile a tutti (questo significa che è più facilmente controllabile nei suoi
effetti), e poi che la frequenza dei chip non si propaga oltre un raggio di un metro o due
rendendo impossibile ogni comunicazione a distanze maggiori. Per soddisfare anche i più
sospettosi ogni prodotto verrà venduto fornito di un piccolo pulsante (o qualcosa di
simile) che consentirà, a scelta del cliente, di distruggere i chip in esso contenuti.
(22 giugno 2001)
Fonte
Repubblica |