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«Le
accise frenano la birra»
I consumi
di birra nel 2005 sono diminuiti del 2%. Il dato indica una tendenza che
preoccupa gli operatori del settore, che rivendicano «l'italianità» del
prodotto e sottolineano sia il valore di tutta la filiera - dall'agricoltura
alla distribuzione - sia il fatto che il nostro Paese, quanto a consumi
(poco più di 29 litri pro capite all'anno, contro una media di 80), continua
a essere uno degli ultimi in Europa. La pressione fiscale è indicata come
una delle principali cause di freno del mercato. Il 1º gennaio è entrato in
vigore un nuovo aumento delle accise, cioè delle imposte di fabbricazione
che colpiscono la birra alla sua origine. «È la terza volta in tre anni -
spiega Piero Perron, presidente di Assobirra e dell'associazione dei
birrai europei -; aumenti sono stati introdotti nel 2004 e nel 2005. È
assurdo che la birra venga penalizzata più dei superalcolici».
Chiediamo: a quanto ammonta oggi l'imposta?
«Incide per il 30% sui prezzi alla fabbrica. A cui, per giunta si aggiunge
l'Iva: un vero paradosso».
Quant'è il prezzo fatturato dalle industrie?
«Tra i 60 centesimi e un euro. È un dato ufficiale, lo si deduce dai
bilanci».
Ma perché in Italia si beve meno birra?
«Proprio perché nei Paesi mediterranei è tassata di più. Poi da noi si
preferisce il vetro a perdere, più costoso. Alla fine noi vendiamo prima
imposta, poi vetro, e soltanto alla fine birra».
I prezzi aumenteranno?
«Sono già aumentati. E la contrazione dei consumi si riscontra soprattutto
nei bar, che già scontano una generale stagnazione dei consumi. I
supermercati tengono».
Le industrie italiane sono però quasi tutte in mano a gruppi stranieri...
«È vero. Ma ci sono altre considerazioni da fare».
Quali?
«Quasi 50mila ettari in Italia sono coltivati a orzo per birra, e nei 17
stabilimenti, anche a capitale estero, lavorano maestranze italiane: in
tutto la produzione di birra dà lavoro 133mila persone. E poi, voglio
sottolineare, non è un settore minacciato da delocalizzazione: la catena di
valore di un prodotto povero resta in Italia».
Ci sono però molte importazioni
«Sì, il 25-30% del mercato, metà di alta gamma e metà a basso prezzo, perché
la Germania è in crisi e le sue aziende esportano per non chiudere».
Fonte Il
Giornale
Gennaio 2006 |