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E la
birra curda sfidò il nazionalismo turco
Si chiama 'Roj'
- letteralmente 'sole' - ma più che il nome è lo slogan stampato a colori
smaglianti sull'etichetta - 'una sorsata di libertà' - a suscitare
diffidenza e antipatie in Turchia. A dieci anni dalla sua ideazione, la
prima birra curda - imbottigliata a Vienna ma venduta anche in Italia,
Svizzera e da pochi mesi nel nord dell'Iraq - riesce ancora a far discutere.
Tanto che nelle ultime settimane i responsabili dell'azienda che la produce,
la 'Roj Brewery Company Group', in gran parte immigrati curdi, hanno
ricevuto un numero crescente di minacce e intimidazioni.
Come la testa sanguinante di una pecora che i dirigenti della società si
sono ritrovati una mattina davanti alla porta d'ingresso dei loro uffici.
Sotto, un semplice bigliettino con una frase che non lasciava spazio ad
equivoci: “Questo è l'ultimo avvertimento”. “Siamo certi che si tratti di
estremisti, probabilmente turchi”, spiega N. Keske, direttore esecutivo
della 'Roy Brewery'.
L'imprenditore, insomma, non nasconde l'apprensione per la piega che sta
assumendo la vicenda. Quasi ogni giorno alla sua azienda giungono e-mail e
telefonate di minacce. Ad Istanbul, lo scorso settembre il rappresentante
della sua società è stato prelevato dalle forze di sicurezza turche e
interrogato fino all'alba. E questo malgrado la 'Roj', una birra chiara e
leggera, non sia ancora arrivata sugli scaffali dei negozi turchi. Ankara,
infatti - al centro negli anni scorsi di un durissimo conflitto con i
separatisti curdi - non si è ancora pronunciata sulla richiesta di
commercializzazione inoltrata dalla 'Roj Brewery Company' nel 2002.
In Turchia, d'altronde, parlare di “identità curda” significa ancora toccare
un tasto dolente, nonostante il governo abbia inaugurato un nuovo corso nei
confronti della folta minoranza curda (pari al 20% della popolazione) per
rispondere alla richieste dell'Unione europea in vista di un'eventuale
adesione del Paese a maggioranza musulmana all'Ue. I passi avanti ci sono
stati, ma ad Ankara, alla luce anche delle violenze che continuano a
insanguinare il sud-est del Paese, sono in molti a storcere il naso di
fronte a un'iniziativa come quella della 'Roy Brewing Company'. Tanto più
che il nome della birra, per quanto innocuo, è lo stesso scelto dai
responsabili di una televisione satellitare curda che trasmette dall'Olanda
ed è accusata di sostenere i separatisti del Pkk, il 'Partito dei Lavoratori
del Kurdistan' inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche del
Dipartimento di Stato Usa. Il mese scorso, il premier turco Recep Tayyip
Erdogan ha persino disertato una conferenza stampa a Copenhagen perché era
prevista la partecipazione del cronista del controverso canale televisivo.
“Purtroppo continuano a confonderci con questa emittente”, tiene a metter
ein chiaro Keske, giurando di “non avere alcun secondo fine politico.
Vendiamo un prodotto curdo, un prodotto ‘di immigrati’, per così dire. E' un
po’ come se voi vendeste un marchio di spaghetti italiani all'estero. Tutte
queste minacce sono solo un tentativo di metterci in una luce negativa, che
non ci appartiene”. Di sicuro, ai bazar turchi, sono in pochi ad accettare
di confrontarsi di fronte a birra curda e pistacchi come avveniva due, forse
tre secoli fa. E bisognerà ancora aspettare per una bella serata con kebab,
gozleme (sorta di crèpe), raki e birra, accompagnati dalle note
incredibilmente tristi e malinconiche di musica turca e curda.
Fonte
Agenzia Radicale
Gennaio 2006 |