Sul podio, sul gradino più
alto, c'è un'italiana. E' bionda. Piemontese di Biella, e per due anni di seguito, il
1997 e il 1998, una giuria internazionale l'ha preferita a rivali più aristocratiche,
tedesche, belghe e olandesi, che in fatto di bionde vantano una ben più consolidata
tradizione. Si chiama Menabrea, e se fino a qualche anno fa era praticamente
sconosciuta, oggi è tra le migliori al mondo. La bionda è una "pale-lager":
ovvero una birra spumeggiante, leggera e dissetante, dalla storia particolarissima.
Nata centocinquant'anni fa, in una terra di grandi vini, utilizzando lieviti particolari e
sfruttando il luppolo della Hallertau, una pianura della Bavaria, la Menabrea ha un
segreto che gli stessi produttori riconoscono: l'acqua di Biella, che è quasi distillata,
con la sua fonte profonda oltre 1.500 metri. Ma è il mix con materie prime
selezionatissime, e l'impiego di tecniche antiche affiancate a strumenti moderni, a
produrre il risultato: una birra ambrata, unica nel suo genere. Semplice, a bassa
fermentazione, di soli cinque gradi alcolici, speziata alla vaniglia, ai chiodi di
garofano e alle foglie di the, e insignita, appunto, col prestigioso "World Beer
Championship" di Chicago.
Il riconoscimento, in realtà, è solo la punta dell'iceberg di ciò che sta accadendo da
qualche anno nel mondo della birra italiana. Che, tendenzialmente esterofilo, diffusamente
snob verso i produttori nostrani, deve bruscamente ricredersi: oggi le moderne tecniche di
produzione della birra non hanno nulla da invidiare al resto del mondo. La Forst Sixtus
di Merano; la Rossa friulana Moretti, la Peroni Gran Riserva e altre
etichette, sinora considerate minori e destinate a un consumo familiare, sono i segni più
vistosi di questa ascesa messa in luce dagli esperti. Certo, l'ingresso di alcuni gruppi
stranieri nell'industria italiana ha avuto il suo peso: come nel caso dell'olandese Heineken,
che ha assorbito la Dreher; o della Carlsberg, regina delle birre danesi,
che ha acquisito buona parte della Poretti di Induno Olona, vicino Varese.
Ma avanzano anche birre poco conosciute e finora diffuse in ambiti ristretti: come la
sarda Ichnusa, con un cuore alla mela verde, o la Raffo di Taranto, ricca di
profumi erbacei e floreali. Bevande "storiche", nate negli stessi anni in cui
nasceva l'industria dello sfruttamento del malto e del luppolo nelle fabbriche di tutta
Europa. Birre con caratteristiche qualitative frutto di ricette antiche, rilanciate da
tecniche nuove. Birre assai amate in ambito locale, ma pressocché sconosciute nel resto
del Paese. Che ora richiedono alleanze nuove: sul piano dell'immagine, soprattutto, e
della diffusione di una cultura birraria. Per superare anche l'ultimo paradosso: che in
Italia si continui a bere ancora poca birra.
In realtà gli ultimi anni sono stati di vero e proprio boom, con una produzione che ha
fatto passi da gigante, e sfiora gli undici milioni di ettolitri. Alla quale bisogna
aggiungere le birre importate, che rappresentano poco meno del 20 per cento del consumo.
Una crescita esponenziale, che non è però solo quantitativa. E' il
consumatore a essere cambiato, sono i gusti ad essersi profondamente modificati.
Tutto ciò fa sì che la birra non sia più solo la fresca bevanda con la quale dissetarsi
durante l'estate, magari davanti a una pizza. Termini nobili come degustazione e
abbinamento, un tempo dedicati esclusivamente ai vini più pregiati, cominciano a essere
associati anche alle migliori tra le birre, italiane e straniere. Sono sempre più
numerosi i ristoranti di alto livello nei quali è possibile trovare una lista di birre di
qualità affiancata a quella dei vini doc e dei cru più rari. L'ultimo caso è quello del
Symposium di Cartoceto, uno dei ristoranti italiani più quotati, che ha creato un intero
menù degustazione pensato proprio per esaltare al meglio gli aromi della birra. E cultori
della materia enogastronomica, come gli esperti del Gambero Rosso, quest'anno hanno
pubblicato per la prima volta il "Berebene Birra", che passa in rassegna le 180
migliori birre distribuite in Italia, con tanto di schede organolettiche, note di
degustazione e consigli di abbinamento. Dando forse per la prima volta nel nostro paese
alla "bevanda bionda" la stessa dignità del vino. E non è un caso che in
Italia stia prendendo sempre più piede il fenomeno delle "microbirrerie":
locali, pub o semplici privati che con un kit del "piccolo birraio" producono in
proprio birre di qualità.
(21 agosto 1999)
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