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Il Salone del Gusto mette a tavola tutto il mondo

Cominciò in sordina nel ‘96, quando il manipolo di buongustai che predicava lentezza e consapevolezza a tavola pensò di rivoluzionare le leggi dello spettacolo: dopo tanti saloni con derive gastronomiche, un salone costruito attorno alla gastronomia. Funzionava con le automobili, persino con i libri. Perché non provarci con il gusto? Erano i pionieri guidati da Carlin Petrini e non immaginavano cosa sarebbero diventati stamattina, cinque anni dopo, loro e il salone. Petrini ha voglia di giocare al ribasso da buon piemontese: la rivista Time l’ha appena infilato tra i 27 «eroi d’Europa» in qualità di «difensore del cibo nella sua espressione culturalmente complessa». Una kermesse da record. Quanto al Salone, apparecchiato da stamattina al Lingotto di Torino, è cresciuto così tanto che nella ex fabbrica quasi non ci sta più. Ha i numeri iperbolici di un’olimpiade, (oltre 2 mila giornalisti accreditati da 160 paesi). E a forza di attenzioni su particolari minimi come il pistacchio di Bronte o la fragolina di Ribera ha fatto precipitare su di sé tutte le biodiversità del pianeta, è stato invaso dal mondo. Altro che strapaese: il 7 agosto 2003 è diventato Mostra internazionale.  E può addirittura permettersi un prologo come Terra Madre, quella specie di Onu dell’alimentazione inaugurata ieri per dare voce a chi non ne ha mai avuta. Quattro giorni, 61 laboratori, 131 paesi, 1200 comunità del cibo. Cinquemila tra contadini, pastori, farmer, campesinos, rancheros e vignerons, gente legata alla terra, ospitata nelle cascine e negli agriturismi della Coldiretti: i viticoltori di Nizza Monferrato e gli apicoltori del Kenia, i produttori di frutta amazzonica e quelli biologici dello Iowa, i raccoglitori di mirtilli canadesi, la comunità di donne dell’alga spirulina del Ciad. Fino a sabato gli allevatori di struzzi di Buttigliera d’Asti vivranno accanto agli allevatori di topi di canneto del Benin, il produttore di latte del torinese mungerà nella propria stalla con il produttore di vino di Capo Verde. Iniziativa poetica e visionaria, cosa altrimenti. Ma Petrini lo ha sempre detto: «Noi seminiamo utopia per raccogliere realtà».  A Caselle nei giorni scorsi sono sbarcati pastori norvegesi, distillatori ghanesi, apicoltori zambiani. E domani arriva addirittura Carlo d’Inghilterra, titolare oltre che di privilegi dinastici di un’azienda biologica. E’ stato sua altezza a farsi vivo con Petrini, non viceversa. Parlerà sabato alla convention di Terra Madre e poi visiterà il salone al Lingotto, ma da giorni la direzione dell’albergo dell’Agenzia di Slow Food a Pollenzo lucida gli argenti. L’entourage reale ha chiesto 27 stanze, comodini sghembi e tivù onnipresenti ma nascoste, assieme all’embargo assoluto della carne rossa. A lezione di cucina E questo per far fuori gli ultimi rigurgiti di modestia, per capire quanta realtà sia stata rovesciata sull’utopia degli inizi. Mercato, laboratorio, ristorante, teatro.Il Salone del Gusto oggi è una città immensa, con le strade tematiche del Buon Paese (via degli orti, del Grano, dei Salumi, degli Spiriti e via assaggiando), la Piazza della Birra, i bistrò del mondo dove procedere a scientifiche degustazioni, le lezioni di cucina tenute dal vivo e su maxischermo dai più grandi cuochi internazionali. E’ il mercato del mondo in 5mila metri quadrati. Bisogna visitarlo a stomaco vuoto e portafoglio pieno, imperdonabile uscire senza due etti di Jamon iberico de bellota, un po’ di ventresca di tonno pescato all’amo in Spagna, una fetta di caprino Pelardon, il conforto di un sacchetto di dolci di noce amazzonica.

( Fonte Greenplanet.it )



Ottobre 2004

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