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Addio terrorismo e birrifici: la nuova Belfast
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Addio terrorismo e birrifici: la nuova Belfast Al cancello della Bass Ireland Ulster Brewery, un pacco di volantini bagnati perde colore, abbandonato sul selciato. Un lavoratore si ferma, ne raccoglie uno, lo squadra, lo appallottola e lo infila in tasca, scettico. Ne ha vissute tante, negli ultimi 35 anni, la classe operaia di questo birrificio: lotte sindacali, politiche, religiose e sociali. Gli scontri sono stati duri. Ma i giorni più tristi sono questi. La Interbrew Uk, proprietaria dell'impianto, ha fatto sapere che a dicembre si chiude: per mesi ha cercato un compratore; ma nessuno vuole più produrre birra a Belfast. Cadono i 200 posti di lavoro. E scende il sipario su una fabbrica quasi da mito, una delle pochissime in cui, per tutti gli anni dei grandi scontri dell'Irlanda del Nord, cattolici e protestanti hanno continuato a lavorare fianco a fianco. Fine triste. Ma nei giorni in cui l'Ira si prepara a deporre le armi, la Bass di Belfast, in pieno quartiere cattolico, è diventata un fantasma del passato. Oggi, chiuderla è come dire che tenere accesi piccoli lumi di speranza, simboli della convivenza possibile tra le due fazioni della città, non serve più. Perché la guerra che ha diviso gli irlandesi del Nord per decenni è probabilmente davvero finita e la capitale dell'Ulster è oggi una città rinata. New Belfast, arriva a chiamarla Graham Cash, un consulente della PriceWaterhouseCoppers: «Una città che ha reinventato se stessa». Ristoranti, negozi, pub e vita notturna sono tornati nella Great Victoria Street, negli anni Settanta un'arteria di posti di blocco, nidi di mitragliatrice, cecchini. Un grande progetto di rinnovo urbano si concluderà nel 2007 e altri due stanno per partire. Soprattutto, l'economia cresce e sta cambiando pelle alla città. Un'inattesa botta di adrenalina nella monotona economia dell'Europa. E' successo che dagli Accordi del Venerdì Santo del 1998, quando le parti, terroristi compresi, scelsero di cessare il fuoco, gli imprenditori, i banchieri, gli intellettuali si sono via via resi conto che la pace teneva e Belfast era una città con l'opportunità e la voglia di andare avanti. Il risultato è un boom economico che fa dell'Irlanda del Nord la regione a maggiore crescita del Regno Unito. La stessa disoccupazione, piaga storica della provincia, è al 5%, solo un po' superiore alla media del Paese ed enormemente più bassa di quella europea. «Gli Accordi sono stati largamente importanti per l'economia della regione - dice Joanne Jennings, amministratore delegato del Belfast City Centre Management, un'agenzia di sviluppo della città -. Da allora è iniziato a tornare il turismo, il mercato immobiliare si è ripreso e ora anche il settore privato sta crescendo con forza. E i benefici maggiori li vedremo nei prossimi anni». No, chiusura della Bass e boom economico non sono in contraddizione. Se è per questo, dall'inizio dell'anno le aziende tessili, uno dei punti di forza della provincia, hanno iniziato una specie di massacro. In febbraio, la Herdman's di Sion Mills ha chiuso: 270 posti perduti. In maggio la Courtaulds ha serrato l'impianto di Limavady: 185 operai a casa. In giugno, la Desmonds è andata in liquidazione volontaria: 260 licenziati. E in settembre la Fruit of the Loom ha annunciato che ridurrà le attività a Derry e a Donegal: 650 posti voleranno verso il Marocco. Anche dei cantieri navali sul fiume Lagan - i gloriosi Harland & Wolff dove si costruì il Titanic - non rimane quasi nulla in attività: solo le due immense gru gialle, intoccabili, lascito della storia industriale della città. Il declino manifatturiero, per l'Irlanda del Nord come per il resto del Regno, è un fatto più o meno accettato, per molti versi compiuto. «La nostra era un'economia fondata su tessile, cantieri, birrifici - dice la signora Jennings -. Ora, stiamo puntando molto su commercio, turismo e istruzione: si sta discutendo, per esempio, di trasformare il quartiere dei cantieri del Titanic in parco scientifico. E scommettiamo molto su innovazione tecnologica e biotecnologie». In termini di declino manifatturiero, infatti, l'Irlanda del Nord crolla a un ritmo del 4-5% l'anno. Ma cresce del 2,5% ogni dodici mesi nei servizi, il dinamismo maggiore del Regno Unito, uno dei più alti d'Europa. La Bt (l'ex monopolista dei telefoni) ha appena creato a Enniskillen un centro di nuova generazione per la gestione delle email che le arrivano dai clienti. Nelle biotecnologie, negli ultimi anni sono nate in Ulster 50 nuove imprese per quattromila posti di lavoro. John McGill, un lavoratore autonomo nel settore dei trasporti, dice che in fondo è orgoglioso di quello che sta succedendo. Dalla sua casa fuori Belfast vede l'incredibile prigione di Maze, una specie di enorme caserma dove migliaia di terroristi dell'Ira e Unionisti sono stati internati per anni e dove gli scioperi del vestiario e della fame si sono succeduti a ripetizione. Il carcere dove Bobby Sands morì, nel 1981, dopo 66 giorni di digiuno. McGill è protestante, nella sua famiglia ci sono stati sia morti sia terroristi, dice. Ma ha sposato una ragazza cattolica e, per quieto vivere, ha spostato la famiglia in zona neutra. «Quando guardo Maze Prison - racconta - per me è come vivere un romanzo. Nel giro di due anni, dopo gli Accordi del Venerdì Santo, tutti i detenuti terroristi sono stati liberati. Molti ora fanno una vita da benestanti. Il crimine paga, sostiene qualcuno. Ma la chiusura del carcere è il segno che il tempo della guerra è finito, che si torna a pensare al futuro, tanto è vero che la prigione ora è in vendita e pare ci siano molte società interessate». Non che tutto fili sempre liscio e che non siano rimaste cicatrici profonde dopo una guerra che, in una provincia di un milione e mezzo di abitanti, in trent'anni ha fatto tremila morti, in gran parte civili. Ogni famiglia, a Belfast, conta almeno una vittima sull'altare dei Troubles , dei disordini. Poche settimane fa, Tony Blair è dovuto intervenire di nuovo, mettere attorno a un tavolo Gerry Adams del Sinn Fein cattolico e il reverendo Ian Paisley del Dup protestante, per dare una spinta alla ricostruzione di un governo effettivo a Belfast. Casi di «pulizia etnica», come li chiama il sindaco della città Thomas Ekin, non sono mancati anche di recente. Ma la novità che racconta Belfast è che anche dopo il terrorismo più radicale può iniziare un'età senza prigioni speciali, persino senza fabbriche di birra speciali. E che nell'Europa un po' conservatrice e un po' assonnata i miracoli economici ci sono: spesso, nascono da chi sa cosa vuol dire aver toccato il fondo. Danilo Taino (da www.corriere.it)
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