WASHINGTON -
Tremila chilometri con la faccia che cade, come sei volte Roma-Milano in un giorno, a
gridare con la voce che si rompe, a sorridere con il cerone che si scioglie, per
esorcizzare il diavoletto del passato uscito dalla bottiglia di birra e sopravvivere
ancora per quelle poche ore che lo separano dal sogno che sente sotto le dita: un altro
Bush alla Casa Bianca.
Lo "sporco trucco", la carta dell'arresto per ubriachezza ripescato dalla sua
giovinezza non sembra aver funzionato, non ha aiutato Gore, non ha fermato Bush nei
sondaggi, anzi, lo ha aiutato in un'America profonda e anti politica che vede in lui
l'immagine di se stessa.
Rimbalzano come palline umane nel flipper chiamato America, tra uno Stato e l'altro,
illuminati dagli spot che nei collegi chiave le tv mandano in onda fino a 120 volte al
giorno, uno ogni 12 minuti, notti comprese, un incubo. La "schedule", l'agenda
degli impegni stronca le gambe soltanto a vederla. Eccola. Ieri sabato 4 novembre, agenda
di George W Bush: Ohio, Michigan, Pennsylvania, West Virginia, Illinois, New Jersey,
Pennsylvania di nuovo, Michigan di nuovo, interviste con 15 stazioni radio e TV locali, 12
comizi, 3100 chilometri di volo, avanti e indietro sullo stesso aereo charter puzzolente
di caffè e ciambelle vomitate sui sedili nei decolli e negli atterraggi burrascosi,
perché non ci sono mai piste chiuse per gli assatanati dell'ambizione politica, né
piogge né venti abbastanza forti per fermare la corsa del Candidato, anche se può
precipitare nella nebbia, come è accaduto in ottobre al governatore del Missouri che
aveva obbligato il figlio pilota ad atterrare nel maltempo e si è schiantato. Uccidendo
anche il figlio.
Questa, delle ultime ore con il cuore in gola e la lacca nei capelli dura come un elmetto,
non è più politica. E' un ordalìa medioevale, un giudizio di Dio condotto davanti alla
tribù America sulla capacità fisica di questi cinquantenni di titanio (Bush ha 54 anni,
Gore 53) e delle loro disgraziate mogli, costrette anche a cambiarsi d'abito 15 volte al
giorno e a sembrare sempre "carine", perfettine e sempre stregate dal fascino
del loro uomo che magari per premio le sbaciucchia. Ed è qui, nella marcia sui carboni
ardenti del finale, che Bush sta sorprendendo, sta danzando più lieve, meno appesantito
da pensieri e da dubbi, nella irresistibile leggerezza del suo essere.
La bomba nella bottiglia che gli hanno lanciato addosso questa settimana sembra, semmai,
averlo caricato ancora di più, sembra averlo avvicinato al suo elettorato che si scalda
come mai prima, run George run e invoca: No more Gore, no more Gore, cantano, basta con
Gore. State tranquilli, gli sorride George, "ancora tre, giorni, due, uno e saremo
liberati".
E mentre Gore è solo con la povera Tipper e senza Clinton che lui scioccamente,
presuntuosamente non ha voluto, Bush ha la famiglia e il clan alle spalle, la mamma,
Barbarona, che è andata in tv sbuffando come una pentola a pressione per difendere il suo
bambino e dire che "tutta questa storia della birra è molto rumor per nulla",
del papà, Bush il Vecchio che ha ringhiato contro i nemici del suo ragazzo: "Almeno
lui ha avuto il coraggio virile di assumersi la responsabilità dei propri errori".
Non come "quell'altro".
I reporter zampettano come topolini nel labirinto della vita di Bush, per capire le
ragioni della sua resistibile ascesa, per trovare dadini di formaggio da mettere nella
trappola che lo fermi, perché agli editorialisti di bella penna pare impossibile che un
somaro del genere, uno che ha chiamato i greci, "Greciani", che pronuncia
strategia "strategeria", che ha accusato gli Europei di non mandare truppe in
Kosovo (dove invece 8 soldati su 10 sono europei) possa diventare presidente. I media si
sono tuffatti nella bottiglia di birra (per la verità sette bottiglie di birra, quelle
che Georgino si scolò quella sera del '76 prima di mettersi al volante, oggi lo sappiamo)
e sono andati a frugare in tutte le sue parole, persino nei formulari per richiedere le
licenze di pesca e caccia da lui compilati in passato per trovarlo in contraddizione.
Un giornalista del Dallas Herald, il giornale del Texas dove Bush è governatore, si è
ricordato che in un'intervista il governatore gli disse di non aver subito nessun arresto
dopo il '68, quando fu fermato per avere portato via un addobbo natalizio da un drugstore.
Le network hanno riesumato una convocazione per far parte di una giuria popolare, dove
c'è una casella con la domanda: è stato mai arrestato, incriminato o condannato? Ma
Bush, previdente, lasciò la casella in bianco. E in mezzo alle frenesia dei mass media -
tutti i telegiornali da 24 ore "aprono" con lo scandalo del governatore ciucco
al volante - la gente, gli elettori ripensano alle loro vite, come ci ripensarono quando
Clinton fu crocefisso per i baci di Monica, pensano alle realtà del quotidiano si
riconoscono in Bush, come si riconobbero in Clinton. Chi è senza peccato, scagli.
Gore comincia a perdere la battaglia della faccia. Le telecamere lo inquadrano più gonfio
e stravolto, alla mattina, e ci vogliono tre o quattro comizi, due o tre atterraggi,
perché le sue guance riprendano il colorito naturale sotto il fondo tinta troppo rosso
che gli spalmano al mattino presto e lo rende rossiccio come un Sioux. Bush esibisce fin
dall'alba la serena freschezza del ripetente a scuola, del compagno simpatico e lazzarone
che tutti ammiravamo di nascosto dalle nostre mamme. I suoi comizi non sono mai impacciati
da macchinose e dettagliate descrizioni di progetti di legge che tanto non capisce e che
nessuno approverà mai, dopo le elezioni. "Voglio riunificare l'America" ripete,
"voglio essere il presidente di tutti, conservatore ma di buon cuore", run
George run George, ma che vuol dire? Niente, ma sempre meglio di quel Gore che spiega di
voler ridurre del 15% la fascia di reddito in rapporto alle detrazioni per il 50% del 22%
delle emissioni gassose. E bravo Al, adesso torna al banco e siediti.
Sereno nella sua ignoranza, Georgino vola, neppure turbato dal pensiero che l'impossibile
potrebbe accadere, che il 20 gennaio potrebbe entrare lui nella vecchia casa di suo padre.
Sente il calore della gente, che lo osanna, che intona no more Gore, basta con Gore e
sorride. Laura, la bibliotecaria, la moglie che ha lasciato il tailleur azzurro del
mattino per quello beige del mezzogiorno e poi quello marrone del primo pomeriggio mentre
nella plastica del lavasecco è pronto quello blu per la mezza sera e il lungo nero per il
gala, lo guarda affettuosa e preoccupata, come si sorride a un bambino alla vigilia di
Natale. La famiglia è orgogliosa di lui. E pensare che da piccolo sembrava soltanto un
somaro.
(5 novembre 2000)
Fonte
Repubblica |