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Nel pub tra birra e canti la delusione del tifo inglese

Riccardo Liguori

Repubblica.it

 

 

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Nel pub tra birra e canti la delusione del tifo inglese

In un locale di Brighton per il rito della visione collettiva della partita La Svezia ricaccia in gola le urla di gioia: "Ma vinceremo la coppa". Fiumi di alcolici fin dal mattino. E Beckham è il vero re.

BRIGHTON - Quando il brasiliano Carlos Simon ha fischiato la fine c'erano un gol per parte, uno Sven Goran Eriksson abbastanza depresso e un due-trecento tifosi inglesi molto più che alticci. Era la scena all'uscita di uno dei più vecchi pub di Brighton, "Ye Olde King & Queen", nella provincia alla moda, sulla Manica, a un'ora da Londra. Il rito della visione collettiva della partita si è consumato anche stavolta, ma non ha portato bene. Qui non si trova un solo inglese che non sia fiducioso non solo sul fatto di battere gli svedesi, ma addirittura di vincere la coppa. Impossibile trovare un solo posto a sedere già un'ora prima del match in questo vecchio pub tappezzato per l'occasione con bandiere e televisioni: otto schermi sintonizzati alle nove e mezza di mattina su Itv Channel.

Come fauna c'è di tutto. Ragazzi e ragazze equamente divisi, ma anche padri di famiglia con figli al seguito, pensionati, insospettabili signore sedute intorno a un tavolino che immagineresti in una sala da tè ma non davanti a una pinta di Guinness a quest'ora, aspettando le prodezze di Owen e soci.

Tutti tracannano di tutto. Birra, ma anche superalcolici. Gira molto il Pimm's, soprattutto tra le ragazze. E' una specie di vermouth rosso allungato con soda frutta e menta, molto leggero. La fanciulla del tavolo accanto se ne è già fatti quattro prima del fischio di inizio: "Durante la partita non c'è tempo". Solo in pochi però hanno la fortuna di avere un tavolo. La gran parte si ammassa in piedi davanti al bancone (è una posizione strategica) con il naso all'insù. L'eccitazione cresce in misura direttamente proporzionale alla quantità di alcol servito dai camerieri. L'attesa del resto è enorme, e anche qui i media hanno fatto di tutto per pompare l'evento. Fino a pochi giorni fa i bookmakers esponevano le loro quotazioni: Inghilterra-Svezia 2 a 0, primo gol di Owen. Scommettendoci dieci sterline se ne potevano vincere 210. Altre eventualità? Possibili, ma non consigliate. Ottimismo al massimo: Sven Goran è grande e Beckham è il suo profeta.

Proprio David Beckham è il vero re d'Inghilterra in questi giorni. Domani, per dire, è il giubileo della regina. Ma non c'è partita. I giornali cercano di mantenere i due avvenimenti sullo stesso piano, ma la croce di S. Giorgio, la bandiera inglese, surclassa ovunque l'Union Jack. E le t-shirt della nazionale che qui portano anche le mamme che spingono le carrozzine hanno tutte stampate non le immagini dei reali il numero 7, quello di Beckham appunto. E non a Manchester, ma qui nel cuore del Sussex. Un po' come se a Milano si portasse la maglietta di Totti o a Roma quella di Del Piero. Improponibile. "Però in un certo senso è vero che stiamo diventando mediterranei nel tifo", obietta Donald - un ragazzo appoggiato al mio tavolo - proprio un minuto prima dell'inizio. Il tono è un pò sconsolato ma c'è un motivo: lui è scozzese, e si capisce che vorrebbe essere qui da tifoso, e non da spettatore.
Urla e applausi all'ingresso delle squadre in campo, manco fossimo allo stadio. God Save the Queen cantata in coro. Le tre sale del pub ci mettono poco a diventare una succursale della curva Sud. Il modo di tifare è ovviamente tutto loro: la gente si entusiasma quando qualcuno trova spazio per farsi una corsa sul fondo e buttarla al centro, il più delle volte per nessuno. Oppure quando si costringe l'avversario a spazzare via la palla. Vassel dribbla tre svedesi per ritrovarsi al punto di partenza e fare un cross che nemmeno in serie C? Un eroe. Campbell stronca un avversario e viene ammonito? Giù applausi.

Quando però al 24' proprio Campbell la mette dentro il pub esplode, trema. La scala che porta al piano di sopra oscilla paurosamente. Le ordinazioni al bar triplicano. "Eng-land" e "Sven Goran" diventano ruggiti, i tentativi degli avversari occasione di scherno. Ma sono i pochi momenti di emozione del primo tempo. Il fischio del 45' viene festeggiato con un urlo, lo spettacolo cambia: la metà si precipita alla toilette, gli altri al banco, che ben presto diventa una piccola Fort Alamo. Spunta fuori una selva di telefonini cellulari per un frenetico scambio di Sms (una mania) che dura un quarto d'ora. Quando si riparte il tasso alcolico è aumentato nettamente, e si vede.

Un ragazzo di nome Matt, seduto accanto a me con una maglietta finto-ufficiale della nazionale, implora Heskey di fare un cross come Dio comanda. Deve essere ubriaco, e glielo dico. La risposta è una conferma: "Heskey può farcela". Partono i cori, completamente fuori sincrono con l'andamento della partita. Al banco è ormai una no stop. Nessuno sembra capire che i bianchi hanno un po' mollato e che il gol svedese è nell'aria. E quando infatti arriva la costernazione è enorme. Ma è un attimo, parte un "Come on England" assordante. Applausi (di stima, diciamo) per Beckham che esce e per Dyer che lo rileva. Un boato per Seaman che toglie agli svedesi due gol fatti. Qualcuno tra gli avventori comincia a dare segni di cedimento, è mezzogiorno e c'è chi ha già buttato giù tre o quattro litri di birra, stimati per difetto. Con il passare dei minuti la partita diventa una specie di incubo da seguire con rassegnazione. Le ragazze vengono spedite al banco a fare rifornimento, tornano con caraffe piene di birra, gin tonic e limonata, mostrando un discreto virtuosimo da cameriere. Quando la squadra di Eriksson sembra uscire un pò dallo shock la gente si rianima. "Gonna win", vinciamo, mi urla nell'orecchio un tipo che fino a cinque minuti fa aveva l'aria mite da impiegato statale. Forse, gli rispondo, ma gli svedesi possono anche farvene un altro. Mi dà un'occhiata tra l'incredulo e l'imbufalito. Prego che la profezia non si avveri. Non si avvera. C'è spazio per la più bella azione inglese della partita (pallonetto di Scholes per Cole, cross immediato e incornata di poco fuori di Heskey), e per l'ultimo grido che si strozza in gola. Poi la fine, salutata con gioia perchè l'Inghilterra stava rischiando sul serio. Le facce sono un po' così, non quella del manager del pub: "Davvero non ho idea di quanta roba è andata via". Sicuramente molto di più che in una domenica normale. "In una domenica normale iniziamo a vendere alcolici dalle dodici, per i mondiali ho una licenza speciale". All'uscita incontro l'impiegato di qualche minuto prima, ritornato mite e sorridente. In effetti ha un negozio in un posto vicino Londra, è venuto a Brighton per una gita. "Ti sei sbagliato", dice. Già, ma anche tu. "Io volevo dire che vinceremo la coppa". Auguri.

(2 giugno 2002)

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