Dopo la cancellazione della Piazza della Birra al Salone del Gusto 2010,
ecco SlowFood
Le foto in video dal
Salone del Gusto 2008
Ormai sono anni che al
Salone del Gusto c'è la Piazza della Birra. Nell'edizione del 2008 aveva
assunto una forma strana, un pò più intima, ma per certi versi isolata.
Adesso Slowfood la cancella del tutto, relegando i birrifici nelle proprie
regioni. Sotto potrete leggere la risposta di Alberto Farinasso alle
polemiche emerse in questi giorni nei siti web di Unionbirrai e di MoBi.
Lungi da me rinnegare il gran contributo dato ai birrifici artigianali dalla
rassegna di Torino in tutti questi anni, ma essendo ancora un fenomeno
all'inizio della sua crescita, disperdere significa rendere la vita
difficile a quei birrifici che saranno presenti.
Ed inoltre il tutto diventa indifendibile, anche se le parole di Alberto
sono accorate, in quanto l'Enoteca rimane lì dove si trova ed è tutta
dedicata al vino... coerenza avrebbe consigliato il medesimo atteggiamento,
non farlo significa andare contro un processo di affermazione del settore,
forse per dare risalto solo ad alcuni...
Sono pronto anche ad ammettere che questa scelta abbia una visione nel medio
lungo periodo, magari a fronte del bilancio che si farà a fine Salone, ma in
prima battuta, e spero che questi non crei barriere, non mi sembra la scelta
migliore, la Piazza non isolava, semmai, a mio modesto parere, esaltava il
concetto di birra e birre che perseguono da tanto tempo i birrai e Kuaska in
particolare.
Di seguito potete leggere l'opinione integrale di Alberto Farinasso, di
SlowFood, a cui va comunque il mio ringraziamento per aver preso "carta e
penna" ed aver dato una risposta 3 mesi prima del Salone 2010
Marco Tripisciano
Le birre artigianali e il Salone del Gusto
In questi giorni sono apparse su alcuni forum (Mobi e Unionbirrai) alcune
considerazioni riguardanti il Salone del Gusto e il rapporto con la birra
artigianale italiana, intesa come complesso di elementi: consumatori,
produttori (microbirrifici), appassionati, promotori culturali, comunicatori
e via dicendo. Credo che, infine, questo sia un bene checché i giudizi siano
in prevalenza contro la decisione di Slow Food di adottare una divisione
regionale degli espositori (microbirrifici inclusi): la vitalità e lo
scambio di opinioni, quando non scadono in bagarre e volgarità, in genere
fanno crescere e progredire verso una situazione migliore.
Credo però che alcune osservazioni siano doverose, soprattutto da chi AMA (e
BEVE - anche, talvolta, non in modica quantità) la birra artigianale
italiana, ne conosce gli attori da sempre e ha iniziato il percorso di
valorizzazione di questa nel 1999 proprio insieme a chi ora è stimato e
riconosciuto da tutti (voi e noi), quando il movimento era allo stato
embrionale, si muovevano i primi passi e il fermento era molto: io sono
Alberto Farinasso, ufficio Eventi Slow Food e i “chi”, cui mi riferisco
sopra, sono Lorenzo Dabove (Kuaska), Luca Giaccone, Marco Bolasco (il primo
a tenere corsi Master of Food sulla birra, allora con partner Assobirra!) e
Teo Musso (vivo a Bra, sono nato qui, non ho colpe – al limite ditelo ai
miei genitori – e Piozzo è a 20 km e ci andavo dal 1990, da quando avevo
vent’anni). Iniziamo a fare dei nomi così le cose sono chiare. In verità
sono anche toccato nel vivo, in specie perché vengono attaccate persone care
che lavorano bene, con testa e misura, seguendo TUTTE le manifestazioni di
settore, parlando con TUTTI i birrai. E forse le opinioni espresse sui forum
nascono da una scarsa comunicazione reciproca, da un non-dialogo, da una
visione, evidentemente, differente ma non completa e per questo un po’
partigiana. Vi lascio pertanto alcune riflessioni.
Alcune riflessioni (dopo aver letto i post)
A parte il fatto che criticare chi fa è cosa molto semplice e per di più il
mezzo della chat e del forum (data la loro velocità, assenza di controllo,
astrazione e a-personalità: i nickname incomprensibili abbondano)
favoriscono critiche e giudizi come queste – per cui le si ritroverà sempre
qualsiasi cosa verrà fatta – e non di meno persone ignoranti esisteranno
sempre, c’è da dire che la scelta di realizzare un Salone suddiviso per aree
geografiche (territori) è stata valutata attentamente ed ha ovviamente –
come nel caso opposto adottato sinora, per categoria merceologica – dei
vantaggi e degli svantaggi, ma è coerente col messaggio (e con gli stimoli)
che il Salone vuole dare, ossia sottolineare il concetto del mangiare
locale, dell’accorciamento della filiera, del cibo stagionale, del
territorio come genitore dei cibi/prodotti biodiversi che contiene, ...
Certo che per il birrofilo (e mi metto tra questi) è più allettante la
Piazza della Birra esattamente come per l’enofilo, l’Enoteca (e mi metto
anche tra questi) ma qui si tratta di fare un passo in più che è quello che
chiediamo ai visitatori del Salone: vedere il territorio attraverso un altro
punto di vista, costellato di realtà che lavorano bene, con buone pratiche
rendendole più rintracciabili e memorizzabili essendo parte di un contesto,
di un tessuto sociale, di un luogo fisico. E’ una svolta, una virata che
deve anche stimolare gi stessi birrai ad evolvere verso un’attività
produttiva che guardi sempre più alle materie prime locali (tra questi c’è
ad esempio un progetto di luppolo italiano se non erro) e che caratterizzi,
marchi le proprie birre non solo come “microbirrifici Italiani” per cui
abbiamo già una nostra connotazione – o leggi stile – a livello
internazionale esattamente come ce l’hanno gli Stati Uniti dove hanno
salvato birre del vecchio continente destinate altrimenti alla scomparsa o
il Giappone per la meticolosa precisione di riproduzione.
Quanto più sapremo percorrere questa strada tanto meglio sarà: forse per il
visitatore questo approccio può essere precoce, ma se non si prova non lo si
saprà mai. E poi restano le varie manifestazioni dedicate alla birra dal
GBBF (Londra) a Pianeta Birra (Rimini) ai vari eventi locali tipo Pasturana,
dove la birra è tutta riunita in una grande Piazza. Forse i birrai e i
microbirrifici sono troppo divisi ora (ASSOBIRRA, UNIONBIRRAI, ...) e fanno
l’errore di guardare ciascuno al proprio orto e cercano unità al Salone e a
manifestazioni di settore: prima è bene siano coesi su alcuni princìpi base
che li accomunino veramente, e si presentino uniti nelle manifestazioni
birarrie e poi se anche al Salone sono ciascuno nel proprio territorio non
vedo nulla di male. Il Salone è un evento educativo e la linea scelta per
quest’anno è questa. Per molti anni abbiamo fatto la Piazza della Birra
anche investendo molto del nostro: io ho seguito in prima persona i vari
progetti delle varie edizioni del Salone e so esattamente cosa abbiamo fatto
e quanto impegno si è messo: da Teo a Kuaska a Giacu ad Agostino Arioli a
Unionbirrai per far crescere il movimento artigianale italiano. E ancora lo
stiamo facendo con la Guida delle Birre che visti i curatori e la serietà
con cui lavorano è un’opera molto accurata e attenta (a non urtare nessuno,
a stimolare, a selezionare, a far progredire). All’inizio era importante
creare coesione e far decollare e conoscere il movimento ora il passo è un
altro: fare meglio il lavoro di birraio nel contesto in cui si opera e si
vive, creando alleanze territoriali anche con altri produttori (non
necessariamente di birra). E poi, scusatemi, è ora che la birra si liberi
(cosa che anche Giacu ha sovente rimarcato, e chi lo conosce lo sa) da una
connotazione di “Festa della birra” tout court, da mere aggregazioni
rumorose da sagra (con la scusa implicita, ma tanto è birra, è più popolana,
noi non siamo come quelli del vino), ma apporti, come già sta facendo, altri
valori e il metodo proposto dal Salone quest’anno può, secondo me, aiutare a
percorrere questa strada. Senza esagerare: la birra (come anche il vino e il
pane e altri prodotti) devono mantenere una dimensione comprensibile e
accessibile (senza tirarsela tanto insomma), in primo luogo dovendo essere
BUONE e sapendo dare PIACERE: prerogative imprescindibili.
Inoltre – e qui rispondo al forum Ub – Slow Food non vuole affatto
danneggiare – e tanto meno intenzionalmente – il movimento artigianale
italiano: ne è stato al fianco dall’inizio e ancora adesso lo è, in un mondo
però che è più difficile (è vero è così: è più difficile fare le cose
rispetto a 10 anni fa) e che per questo richiede strumenti e approcci nuovi,
richiede più coesione e lavoro mutuo, più sforzo da entrambe le parti: una
rinuncia più che una richiesta.
Non è mai bello boicottare solo per partito preso, chi afferma che boicotta
alla fine si troverà isolato (sia come singolo che come movimento), chi
prende posizioni troppo rigide alla fine quasi sempre si ricrede: anche
perché si lavora per lo stesso obiettivo noi (Slow Food) e voi (produttori).
Se si chiedono birre per la Birroteca o per i Laboratori del Gusto credete
che ce le beviamo noi? Credete che il servizio reso (la promozione, la
pubblicità non palese) non sia all’altezza dell’investimento? Sapete quali
sono i costi connessi, la scelta del personale che mesce, i bicchieri (non
perfetti forse, ma di vetro e apposta per la birra come quelli di Cheese
2009), la beer list, lo stoccaggio in frigoriferi, i sottobicchieri ...
Credete che ci si guadagni? Parliamone. Anche noi, e soprattutto ora,
abbiamo conti da far quadrare, non è mica un segreto. Mi fa però piacere
constatare che più d’una persona sia aperta al dialogo e sia convinta della
non intenzionalità e spero che sia possibile trovarsi per parlare delle
esigenze di Ub cui si fa riferimento: vedo, oltre posizioni filo-talebane,
del buon senso: spero che una discussione franca e quanto su detto, possa
aiutare a conciliare le nostre visioni, perché, veramente, ci si batte per
la stessa causa.
Per tornare ai commenti dei vari inserzionisti dei forum (in particolare a
quelli di Mobi), si può dire tutto di tutti perché l’essere umano è così:
parla più di quanto sa e spesso sa pochissimo. I dati però alla fine
parlano: il numero dei micro-birrifici è aumentato (e quello dei grandi
forse diminuito con la crisi), gli appassionati anche, la quantità di birra
cruda (uso questo termine solo per brevità) bevuta anche, la guida ha
raggiunto più persone e ne raggiungerà ancora in numero maggiore: tutto è a
favore dei microbirrifici. Ovvio che si deve trovare un limite, si deve
tenere sotto controllo la qualità e creare uno storico, stroncare i parvenu,
chi cavalca il cavallo delle birre artigianali perché è di moda, ma lo fa
solo per profitto e non per convicimento personale o stile di vita o serietà
professionale. E la guida va in questa direzione, opera con questo spirito,
le discussioni dello staff sono quelle di persone altamente competenti che
si confrontano quotidianamente con la realtà birra artigianale e sono
APERTE.
E ancora (sulla territorialità e nazionalità della birra e del movimento):
Posso anche essere d’accordo che ora di territoriale (dipende, comunque, in
quale accezione lo si intende in rapporto alla birra) in una birra c’è poco
(a parte il birraio e qualche materia prima), ma questo non è vero per tutte
e poi la diversità può essere data da uno o più elementi, da un’approccio
alla fabbricazione, dalle materie prime disponibili (non solo malti e
luppoli), altrimenti i birrai italiani utilizzando per la maggior parte
malti Weyermann farebbero tutti birre che sanno del territorio di Germania?
La biodiversità sta anche, e soprattutto, in altre cose. E rimando a quanto
detto sopra riguardo l’unità interna dei movimenti e le politiche “estere”
degli stessi: al Salone si fa educazione, si insegna, si danno le direzioni
e gli stimoli (1 volta ogni 2 anni!!): poi è compito di chi è coinvolto nel
movimento (sia i produttori che i consumatori) tornare a casa e mettere in
pratica e modificare: non sono dettami, sono idee, percorsi suggeriti.
Apriamo la discussione se vogliamo trovando forme e luogo opportuni. E poi a
quanti vedono il forum come un posto dove dire tutto e di più direi di fare
birre più buone e sfogarsi altrove compresi i deliri contro Teo e i presunti
padroni. Quest’ultimi possono piacere o non piacere però non c’entrano col
movimento della birra artigianale italiano, accampare scuse non è mai buona
cosa: bisogna fare le cose e farle bene prima e continuare a farle bene come
fanno Teo, Riccardino, Agostino, Dano e tanti altri bravi birrai che qui non
cito. Più birra BUONA (intendentelo in senso largo, non banale) c’è, meglio
è, no?
Ad maiora
Alberto Farinasso
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