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«Noi, tre amici
diventati mastri-birrai»
Erano, per così
dire, tre amici al bar, o meglio al pub. Dopo un anno di ricerche di mercato
Alessandro Zilli, ingegnere prestato all’insegnamento, Fabiano Toffoli,
italo belga con alle spalle studi (in Europa del nord) per diventare mastro
birraio e Loreno Michielin, professionista della ristorazione, hanno deciso
di fondare a Pederobba, Treviso, il microbirrificio «32 via dei birrai», tra
i più apprezzati dai sommelier italiani della birra. «L’abbiamo chiamato
così - ci spiega Loreno Michielin - perché sulla tabella merceologica la
birra è il numero 32 e perché a Bruxelles c’è una Rue des Brasseurs, via dei
birrai. Oggi abbiamo anche tre dipendenti. Ci eravamo stancati di sentir
dire dagli amici che tornavano dall’estero “Che buona birra ho bevuto!”. In
Italia eravamo abituati, fino a qualche anno fa a birre filtrate e
pastorizzate che non sanno di nulla».
Quelle da «grande distribuzione»...
«A cui ci siamo contrapposti fin da subito, vendendo al dettaglio. Da 8.000
bottiglie al mese ci siamo assestati l’ultimo anno sulle 15 mila, pur avendo
richieste per 30 mila. La poca reperibilità dei nostri prodotti non è certo
intenzionale: abbiamo una capacità produttiva tarata per garantire una
qualità costante, sia a livello olfattivo che di gusto. Le nostre birre
durano 7/8 mesi ed essendo prodotti “vivi” hanno una fermentazione anche in
bottiglia».
Quante tipologie in produzione?
«Sette. Tre tutto l’anno: la Curmi, chiamata così dal nome egiziano della
birra, l’Oppale, gioco di parole su “hops”, luppolo, e “ale”, lo stile della
birra, e l’Audace, molto alcolica, adatta a formaggi mezzani, pollo al
curry, tartare di carne. Poi quattro birre stagionali, forti e strutturate,
adatte all’inverno, buone coi dolci: l’Atra, nome latino per la birra bruna,
l’Admiral, un tipo di luppolo che usiamo come amaricante, la Nectar e infine
la Nebra, poiché a Nebra, in Germania, è stato trovato un disco di 32
centimetri con tutte le fasi lunari».
Non ha spiegato il nome della Nectar...
«Quella a cui sono più affezionato. Facciamo tremila bottiglie all’anno. Vi
aggiungiamo miele di castagno del Monte Grappa. Il culto dei nomi per le
nostre birre va di pari passo con quello del design, come si vede dalle
bottiglie, tutte da 75 centilitri. Non facciamo fusti. Si perderebbero le
caratteristiche del farro di Ravenna, dei malti di Germania, dei luppoli del
Belgio, nello specifico di Poperinge».
Fonte Il Giornale
Marzo 2010
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