Viva la Birra... inviami una mail

Notizia

freccia.gif (89 byte) Iscriviti alla newsletter

freccia.gif (89 byte) Pagine Gialle della Birra

freccia.gif (89 byte) L'indice degli argomenti

Come si spilla la birra?

Come si degusta una birra?

Dossier Birra e Salute

© 2002 - 2014 - Tutti i diritti sono riservati, è vietato copiare senza autorizzazione queste pagine.

info@mondobirra.org

L'indice delle notizie

 

Per difendere la birra Budweiser da Beck’s americani pronti a fare le barricate

Gli esperti sono convinti che l’acquisizione-record nel mondo della birra si farà: «Se Inbev si è mossa, è per vincere». Inbev, belga, prima birreria del mondo, qualche giorno fa ha lanciato un’offerta da 46,3 miliardi di dollari sul leader americano del settore e terzo nel mondo, Anheuser-Busch. Dicono di più i marchi: l’offerente «significa» Stella Artois e Beck’s; la preda è Budweiser. Il cda di Anheuser valuterà «scrupolosamente»; per Carlos Brito (presidente di Inbev) quella di 65 dollari ad azione è «un’offerta equa», e l’obiettivo è di chiudere «amichevolmente». Budweiser per ora non si è pronunciata ma sta tentando di acquisire l’intero pacchetto della messicana Modelo (marchio Corona) di cui possiede già il 50%; lo scopo è di mettere in difficoltà il compratore rendendo il boccone troppo grosso. Brito non si è fatto intimidire e ha confermato l’offerta. Se l’operazione si farà, Inbev rafforzerà il suo primato, staccando di molte lunghezze gli altri due gruppi mondiali, SabMiller (Sud Africa) e Heineken (Olanda).

Negli Stati Uniti l’offerta, al di là dei tonici effetti sul titolo a Wall Street, è vissuta però con malumore. Per almeno due motivi: perché significherebbe vendere a stranieri una delle bandiere americane (la famiglia di Cindy Hensley, moglie del candidato repubblicano John McCain, è tra i più grossi distributori di Budweiser), e ai simboli nazionali tutti i Paesi alzano ferree difese; e perché un’operazione di queste dimensioni, la prima dopo la crisi dei subprime, si teme possa essere replicata in altri settori, vista l’attuale forza dell’euro e la debolezza del sistema economico Usa. Strenuo oppositore agli «invasori» belgi è August A. Busch IV, presidente ed erede del fondatore, possessore di una quota del 4%; altro socio importante è il finanziere Warren Buffet (con il 5% è il secondo socio).

Inbev cerca di smorzare i timori sostenendo l’ottica di lungo periodo e i vantaggi per azionisti e consumatori. In realtà, la strategia dei belgi guarda lontano: perché nel portafoglio di Anheuser, oltre alla Corona, c’è anche un preziosissimo 27% di Tsingtao, birra leader in Cina, il mercato chiave - per dimensioni, per ritmo di crescita - per tutti i produttori.

Il mercato mondiale della birra, che continua a procedere sulla via delle concentrazioni, ha le logiche dei prodotti di larghissimo consumo. Contano soprattutto i posizionamenti geografici e i marchi. Le cifre stratosferiche che sostengono le acquisizioni «pagano» proprio questo. I grandi gruppi sono, in realtà, dei raggruppamenti di marchi. Poi, com’è logico, solo una quota relativamente modesta di prodotto viene fisicamente esportata, e si tratta di quella a maggior valore aggiunto, per la quale la percezione del cliente è tale da giustificare un prezzo più elevato; tutto il resto si produce localmente, nelle varie parti del mondo, allo scopo di ridurre i costi di distribuzione.

Se i primi quattro gruppi mondiali controllano il 44% della produzione, questo significa che spazio per la concentrazione ce n’è ancora molto; birrerie di dimensioni medio-grandi ce ne sono alcune, quali Carlsberg, Modelo e Tsingtao. Le birre «industriali» nel mondo sono circa 20mila (più un numero imprecisato ed enorme di produttori artigianali): si tratta di marchi regionali, spesso a proprietà familiare, ben radicate sul loro territorio e che, proprio per questo, confluiscono in gruppi internazionali. In questi anni c’è stato fermento di acquisizioni nell’Europa dell’Est, dove i consumi - a differenza dell’Europa - registrano crescite importanti, anche per le spinte governative tese a pilotare sulla birra i consumi dei superalcolici. In India e Cina, invece, l’aumento dei consumi segue di pari passo l’aumento del benessere.

La logica della concentrazione, dicevamo, è legata ai marchi e al mercato, come in altri prodotti di larghissimo consumo (esempio: caramelle e gomme). Solo parzialmente le acquisizioni sono mosse da esigenze di razionalizzazione e di risparmi, visto che comunque si tratta di un settore di ampi margini e profitti. Non va taciuto però, come sottolineano gli industriali del settore, che tutte le materie prime al servizio della produzione, agricole e non agricole, negli ultimi tempi hanno subito aumenti anche del 30%: dall’orzo al mais, dal riso al vetro, all’alluminio delle lattine, al costo dell’energia motrice. La politica dei marchi tende poi a posizionare i prodotti sui livelli più alti, quelli più redditizi.

Ovviamente leader dei produttori in Italia è l’olandese Heineken (che proprio ieri ha chiuso vittoriosamente l’Opa da 200 milioni di euro sulle bevande della holding svizzera Eichhof), che ha una quota superiore al 30%, seguita da SubMiller e da Carlsberg. I produttori italiani sono due soltanto, Forst-Menabrea, della famiglia Fuchs, e Castello, di proprietà di un consorzio di distributori. Gli italiani consumano 30 litri all’anno di birra ciascuno; in Sardegna il consumo è doppio. Heineken è il marchio di birra più diffuso nel mondo, Budweiser è il più venduto.

Fonte Il Giornale

Giugno 2008

Ultimo Aggiornamento: 04/01/2016 11.17

 

© 2002 - 2016 Tutti i diritti sono riservati. I marchi registrati appartengono ai rispettivi proprietari