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Bionda e possibile, articolo sulla birra de La Stampa

La birra si accosta all’alta cucina

di GIGI PADOVANI INVIATO A PIOZZO (Cuneo)

Un boccale sudato di weisse, la «bionda» prodotta con frumento, rigorosamente non fermentata, sorride su un tavolino all’ombra di un dehors. Lenta, arriva la Prima sorsata di birra: «E’ l’unica che conta. Le altre, sempre più lunghe, sempre più insignificanti, danno solo un appesantimento tiepido». Lo sostiene Philippe Delerm, lo scrittore francese che nel 1997, con quel racconto, ha scalato le classifiche mondiali. In realtà il best-seller sui piccoli piaceri della vita ora appare piuttosto demodè.

La più tipica bevanda estiva da qualche anno, infatti, ha imboccato un’altra strada: l’abbinamento con l’alta gastronomia. Per scoprire la nuova frontiera della birra bisogna andare in un piccolo centro della pianura Cuneese, Piozzo, a una ventina di chilometri dal casello di Carrù dell’autostrada Torino-Savona. Oltre Tanaro è già Langa, terra di vini rossi.

Nell’afa immobile del paesino deserto, l’unica cosa viva sembrano essere, sul far del pomeriggio, i tavolini nella piazza del municipio sui quali si servono boccali alla spina. E se avesse ragione Delerm? Ma basta attraversare la piazza, oltrepassare un portone a fianco del Comune, e cambia tutto: si entra nel regno del benessere declinato verso il cibo, con musica portoghese o fusion in sottofondo, materali rigorosamente naturali, mobili d’epoca orientali.

Siamo a «Casa Baladin». Il locale è aperto da poche settimane e prende il nome dalle famose etichette di uno dei pionieri dei birrifici artigianali in Italia, Teo Musso. Una via di mezzo tra un relais (ha cinque camere elegantissime), un hamman (c’è il bagno turco), una sala da tè (60 qualità) e un ristorante di alta cucina, dove è il cibo che si adegua alla birra, non l’opposto. Sostiene Teo: «E’ l’unico esempio di questo genere in Europa».

Qui si bevono solo birra e tè. Per Musso è un sogno che si realizza. Nei giorni scorsi a Piozzo sono arrivati da ogni angolo della penisola una sessantina di homebrewer, i produttori casalinghi, che hanno presentato le loro bottiglie fatte con piccole caldaie e tini di fermentazione nel garage. Titolo della rassegna: «Una birra per l’estate 2007». E da ieri si svolge un festival di world music

Teo Musso ha 43 anni, è un ragioniere mancato con la passione, fin da piccolo, dell’«oro freddo». Nel 1986 ha aperto a Piozzo la prima birreria: etichette da tutto il mondo, musica. Poi è nata l’amicizia con il maestro birraio belga Jean Louis Dits, che nel 1995-96 gli ha insegnato a produrre la sua prima partita di birre: tremila bottiglie. Oggi sono diventate 350 mila l’anno e vanno in tutto il mondo, nei circuiti gourmet e nei ristoranti di qualità. Altri 150 mila litri finiscono in mescita nella birreria, dall’altra parte della piazza.

Una cena a «Casa Baladin», è un «viaggio», sostiene Teo: lo si percorre nel bicchiere da degustazione Teku, che ha progettato insieme con il «guru» della critica militante italiana, il degustatore Lorenzo Dabove (in arte kuaska): sei piatti, sei birre diverse. Fa caldo, ma i locali del ristorante sono freschi, le etichette arrivano in tavola a 12°-14°C. C’è silenzio, eleganza, niente a che vedere con gli schiamazzi di una sera d’estate a pizza-e-birra.

Negli ultimi anni, Teo ha fatto 80 mila chilometri l’anno, per divulgare il suo credo: «La bevanda d’orzo e luppolo si accosta con crostacei, carne, formaggio, pesce crudo, cioccolato». Le prime soddisfazioni sono arrivate da Coopenhaghen, con un premio internazionale, e dagli Usa, con recensioni sulle riviste specializzate. E l’ultima «follia», come la definisce Teo, è stata quella di realizzare birra artigianale soltanto da orzo coltivato da lui in terreni vicino il paese, del quale segue tutta la fase di produzione agricola.

Sono 14 ettari e a Piozzo i contadini ringraziano. Sostiene Teo: «Soltanto la birra, e non il vino, può abbinarsi perfettamente alle raffinatezze della cucina contemporanea. Molti cibi vegono uccisi da un vino troppo importante. L’estate è il momento migliore, ma noi non abbiamo mai picchi di consumo».

Prima nessuno capiva. Ora sono in molti a seguirlo. A metà degli Anni Novanta, hanno incominciato i ragazzi del «Birrificio Italiano» di Lurago Marinone, in provincia di Como, che hanno inventato anche una «Scala B.I.» con sette livelli per degustare: parte dalla weizen chiara e arriva alla «Bibock», corposa e ambrata.

Oggi i laboratori artigianali sono 193, nel nostro Paese, sia pure con produzioni minime: tutti insieme coprono appena l’1 per cento del totale di consumo. I dati di una recente indagine commissionata dagli industriali di AssoBirra alla Makno sono però incoraggianti.

Segnalano che nel 2006 ogni italiano ha bevuto 30 litri di birra: è diventata un’abitudine per 7 adulti su dieci. E il 6,6% di loro la consuma tutti i giorni, il 27,5% «abitualmente» e il 35% in «maniera sporadica». Sono proprio questi ultimi a crescere d’estate, con una forte presenza femminile. In un ristorante, d’ora in avanti, non chiedete «una bionda», o «una rossa»: esigete la carta delle birre.

Fonte La Stampa

Settembre 2007

Ultimo Aggiornamento: 04/01/2016 11.16

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