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Birra artigianale per palati fini

Cresce l’interesse del pubblico, enoteche e ristoranti aprono le porte alle "bionde"

Fino a qualche tempo fa - e in certi locali anche oggi, senza che questa debba essere una colpa - a chiedere la carta delle birre al ristorante o in enoteca vi avrebbero guardati, nel migliore dei casi, con una certa sorpresa. Perché, nella mentalità e nelle abitudini dei più, la birra rimane indissolubilmente legata - a tavola - alla pizza. Dove peraltro per birra si intende di rigore una bionda pils di ispirazione tedesca.

Invece, nel giro di un paio d'anni, cominciano ad essere diffusi quei locali che alla proposta dei vini uniscono alcune birre artigianali di produzione nazionale, che si rivelano assolutamente sorprendenti, per l'intensità e la complessità dei profumi e dei sapori che sanno sviluppare.

La novità, dunque, sono "microbirrifici" e "brewpub", come si chiamano per distinguere, prima di tutto, le due categorie legate al medesimo prodotto: i primi sono piccole aziende che vendono a terzi la propria birra, i secondi sono invece locali che la producono in casa e qui anche la vendono alla mescita. La tipologia di quel che fanno è invece la stessa, senza eccezioni: una birra non pastorizzata e spesso non filtrata, dunque viva, con un gusto in evoluzione, da bere subito ma spesso anche da invecchiare. Su cui la creatività del birraio può fare la differenza, utilizzando - oltre all'acqua, al malto d'orzo, al luppolo e ai lieviti, che sono gli ingredienti di ogni birra - anche dei prodotti alternativi, spesso del territorio.

In questo panorama, dunque, ecco che il Nordest occupa un ruolo di primo piano, in Italia, dove esistono circa 150 imprese artigiane nelle due tipologie. Dopo la Lombardia, infatti, il Veneto è al secondo posto per numero di attività (19), mentre il Friuli Venezia Giulia è quarto (13) dopo il Piemonte. In Trentino Alto Adige vi sono infine 7 microbirrifici e brewpub.

E se il nome più conosciuto è probabilmente quello del birrificio piemontese Le Baladin, è vero altresì che anche i marchi delle nostre aree cominciano ad avere notorietà e mercato. «Merito soprattutto della fantasia di chi li conduce» spiega il giornalista veneziano, ma ormai milanese d'adozione, Maurizio Maestrelli, che, oltre a collaborare con alcune tra le più importanti testate del settore, è stato il primo italiano ammesso alla British Guilt of Beer Writers, e solo pochi giorni fa - all'evento fieristico riminese Pianeta Birra - ha ricevuto il premio di Unionbirrai per il miglior articolo dell'anno sulla birra artigianale.

Ecco allora che tra le principali realtà, in Veneto, ci sono la "Vecchio birraio Sausa" di Stefano Sausa, a Campo San Martino, nel Padovano (è stato uno dei primi); il brewpub "La Barchessa di Villa Pola" a Barcon di Vedelago, nella Marca (Paolo De Martin cominciò facendosi la birra in casa); l'Arte Birraia di Paolo Cecchet a Rasai di Seren del Grappa (produce una delle poche birre artigianali, la Mazarol, ad avere diffusione nazionale grazie all'accordo con un distributore); in Friuli Venezia Giulia, oltre al Cittavecchia di Michele Barro, ecco il brewpub Sauris Agri Beer di Sandro Petris, che con il marchio Zahre Beer produce ormai da anni birre di alto livello, e la BEFeD Pubb di Aviano (una delle pochissime catene di brewpub apparse finora in Italia, visto che è presente anche a Mestre, in Lombardia e Piemonte); infine, in Alto Adige, si possono citare la Pustertaler Freiheit Bier GmbH di Alexander Weissteiner, a Villabassa, in Val Pusteria, e la Bozner Brau Hopfen di Rob Widmann, a Bolzano (un noto brewpub situato proprio in centro storico).

Continua Maestrelli: «La birra, a differenza del vino, ha uno spettro molto più ampio di possibili ingredienti, consente cioè di utilizzare prodotti diversi, come avviene da sempre in Belgio, ad esempio con la scorza d'arancio, il cumino, lo zucchero candito. Ed è anche per questo che si spiega l'interesse crescente che la birra artigianale sta riscontrando in Italia, dove vi sono produttori che utilizzano anche le migliori specialità dei loro territori».

Lorenzo Dabove che presenta Maurizio Maestrelli che riceve il premio di Unionbirrai

Gli esempi non mancano. "Barchessa di villa Pola" offre una birra alla castagna del Montello. Il neonato microbirrificio "32 Via dei Birrai" di Onigo di Pederobba (una realtà che si è subito messa in particolare evidenza) produce invece - tra le altre - una birra "da meditazione" con il miele del Monte Grappa. Mentre il microbirrificio San Gabriel, a Treviso, propone nientemeno che la birra al radicchio rosso. A Sauris invece ecco la birra affumicata (proprio come il celebre prosciutto locale) e quella alla canapa (che non ha, diciamolo subito, alcun effetto di natura stupefacente). Ed ancora, spostandosi ad esempio nel Lazio, si scopre che esiste una piccola realtà - Birra del Borgo - che produce una birra utilizzando in infusione foglie di tabacco toscano.

«Al di là dei volumi del mercato - conferma Maestrelli - è l'interesse del pubblico a crescere in misura esponenziale. Tanto più che le intensità di profumi e sapori di questi prodotti hanno ormai aperto alle birre artigianali le porte di ristoranti ed enoteche, dove è sempre più frequente trovarle. E non solo in Italia. Il caso più eclatante è quello della "Le Baladin", che a New York viene venduta a 25 dollari la bottiglia da 0,75».

E che la strada della ricerca qualitativa sia quella su cui si stanno muovendo non solo i microbirrifici lo conferma il recente annuncio di Birreria Pedavena (recente acquisizione della udinese Birra Castello, uno dei principali produttori industriali italiani con Theresianer di Nervesa della Battaglia e Forst di Lagundo) di voler realizzare una birra con l'orzo prodotto nel Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi.

Proprio a Pedavena, peraltro, esisteva l'unica scuola per professionisti della birra in Italia, grazie alla tradizione dell'omonima birreria. Lì si sono diplomati alcuni tra i più noti mastri birrai italiani, come ad esempio Antonio Cesaro, un feltrino diventato nientemeno che il creatore delle birre della Forst. Ma da anni ormai la scuola è stata chiusa, e la qualifica di "mastro birraio" - proprio perché accademica - viene generalmente usata impropriamente, in quanto prevede appunto un apposito diploma, che peraltro può preludere al titolo di ingegnere birraio. Oggi questi studi sono possibili solo all'estero: ad esempio in Germania, Inghilterra, Francia e Belgio.

Giovanni Chiades

Fonte Gazzettino On Line


Chi è Maurizio Maestrelli

http://birragenda.blogspot.com

Giornalista professionista dal 2004. Collabora attualmente con Vie del Gusto, Il Mondo della birra, Locali Top, Bar Business, Monthly Food & Beverage, FM Weekend, Il Sommelier Italiano, Papageno, Fuoricasa. Membro della British Guild of Beer Writers, del Camra, e della Fijev (Fédération Internationale des Journalistes et Ecrivains des Vins et Spiritueux). Ha appena scritto la seconda edizione del libro Birra ai fornelli - Maggiori info

 

 

Marzo 2007

Ultimo Aggiornamento: 04/01/2016 11.16

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