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L’aspettativa cambia il sapore della birra

E’ incredibile quello che fanno gli psicologi per capire qualcosa in più del misterioso oggetto che ospitiamo nella nostra testa, sono capaci di passare sei mesi dentro un bar a far tracannare birra alla gente.
Lo ha fatto Leonard Lee, giovane psicologo del 
Massachusetts Institute of Technology , premiato per le serate perse con un articolo sul numero di dicembre di Psychological Sciences. E direi che ne è valsa la pena.
Studi precedenti avevano dimostrato che se si appone un’etichetta di una bevanda famosa su bottiglie che contengono una bibita qualsiasi, migliora la percezione soggettiva di qualità nei bevitori. Ma i risultati erano stati spiegati col fenomeno della “fedeltà al brand”
quell'insieme di atteggiamenti dell'utente che lo avvicinano e lo tengono stretto, anche da un punto di vista emotivo, a una marca in particolare.
Ma Lee voleva capire se ci fosse qualcos’altro, se un’aspettativa cognitiva modificasse concretamente l’esperienza del gusto.
Ha quindi approcciato 388 giovani donne e uomini nel  bar del MIT offrendo loro 2 birre gratis ciascuno. Le birre erano alternativamente delle normalissime  Budweiser oppure la stessa birra con qualche goccia di aceto balsamico dentro.
A un sottogruppo Lee non ha detto nulla sull’ingrediente segreto, e il 60% dei partecipanti ha scelto la “MIT Beer” con l’aceto dentro.
A un secondo sottogruppo Lee ha detto soltanto dopo l’assaggio, ma prima che i soggetti facessero la scelta di preferenza, che una delle due birre conteneva aceto. E anche in questo caso circa il 60% degli avventori preferiva la MIT Beer.
A un terzo sottogruppo Lee ha invece comunicato prima dell’assaggio che in una birra c’era l’aceto, scoprendo che solo un terzo dei soggetti sceglieva la MIT Beer commentando di averla trovata “troppo acida”.
Lo studio dimostra quindi che l’aspettativa su quello che stiamo ingerendo modifica la percezione gustativa e, nel caso specifico, una sensazione di acidità della bibita veniva sentita solo quando le persone si aspettavano di assaporarla.
Questa evidenza appartiene alla saggezza dei genitori quando devono far mangiare qualcosa di sgradevole ai loro bambini. Utilizzano inconsapevolmente due strategie cognitive: l’instaurazione di una distorsione cognitiva alternativa ("Bevi questo olio di fegato di merluzzo ha il sapore d’arancia!") oppure scelgono di non ingenerare nessuna aspettativa, rispondendo alla domanda “che c’è qua dentro?” con un entusiastico “Provalo! Ti piacerà!”.

Fonte:
New York Times e
http://psicocafe.blogosfere.it

 

Dicembre 2006

Ultimo Aggiornamento: 04/01/2016 11.16

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