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Il mondo in cucina
Recensione di Simona Margarino
Massimo Montanari - Il mondo in cucina
Storia, identità, scambi -
Editori Laterza, pagg. 192, Euro 15.00
Realizzato con un contributo del dipartimento di Paleografia e
Medievistica dell’Università di Bologna, Il mondo in cucina è stato
pubblicato dalla Editori Laterza nella collana Storia e Società. L’opera,
frutto di un convegno tenutosi nell’ottobre 2002 e curata da Massimo
Montanari, raccoglie 9 saggi di altrettanti professori, antropologi,
sociologi: Il Mediterraneo, crogiuolo di tradizioni alimentari. Il lascito
islamico alla cucina catalana medievale di Antoni Riera-Melis, Identità
nazionali, peculiarità regionali e «koinè» europea nella cucina del
Medioevo di Bruno Laurioux, La cucina europea moderna: un crocevia di
esperienze culturali (XVI-XVXVIII) di Jean-Louis Flandrin, La cucina
cosmopolita dell’imperatore della Cina nel XIV secolo. Un nuovo approccio
di Françoise Sabban, Il cibo dell’Africa nella cultura «bianca» e nella
cultura «nera» di Jack Goodie, La cucina dell’America e lo scambio
colombiano di Dominique Fournier, Cucina ebraica, cucine ebraiche di Ariel
Toaff, «Champagne!», ovvero l’esportazione del territorio di Jean-Pierre
Devroey, Bologna grassa. La costruzione di un mito di Massimo Montanari.
Sincretismo enogastronomico di scambio o cucina quale identità culturale,
prodotto unico delle proprie radici? Il dibattito intrapreso dagli
studiosi non risolve appieno il quesito, ma invero rileva come il cibo sia
depositario delle tradizioni di un singolo gruppo –dunque della sua
peculiare essenza- e contemporaneamente esempio di integrazione di
elementi caratteristici di altri popoli. Al di là dei mutamenti politici e
sociali, la contaminazione delle genti passa, d'altronde, attraverso un
percorso nel quale vengono ad intrecciarsi gli aspetti più variegati e
difformi degli usi e costumi, fino a che le origini si confondono e ciò
che resta è il figlio meticcio –e per questo “geneticamente” più
complesso- di genitori un tempo lontani. Che la commistione generi un
arricchimento è una assioma risaputo: così il linguaggio culinario
-organizzato anch’esso secondo regole di grammatica (le ricette), di
sintassi (i menù) e di retorica (i comportamenti conviviali)- ha visto
convergere i termini delle differenti culture in poli comuni, apportando
notevoli cambiamenti. L’incrocio dell’Occidente con l’Est asiatico ha
assimilato e talora sostituito i gusti: l’Europa medievale, centrata a
lungo sui prodotti simbolo della pratica romana (olio, pane e vino) e poi
modellata dalla tradizione germanica sui “valori” della carne, della birra
e dei grassi animali, ha subito l’influenza araba dell’agrodolce e delle
spezie, quella orientale del riso, la canna da zucchero, la pasta secca.
La Cina, l’America, l’Africa non sono che ulteriori esempi di come
l’incontro cosmopolita di piatti diversi – superando le specificità
nazionali e la dimensione locale, per piacere, moda, “esotismo” o quant’altro-
abbia lasciato impronte indiscutibili. Tracce sul palato. Ai margini, la
cucina “migrante” ebraica e quella bolognese, in lotta per mantenere
inalterati i propri confini. Intorno, la mensa del Villaggio Globale, dove
l’identità sopravvive in virtù dello scambio.
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