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slow
messaggero di gusto e cultura
numero 16, gennaio - marzo 2000
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Il segreto dell’alga
di Michael Jackson
La botta mi spedì
a un paio di metri di altezza. Mi sembrava di essere in sella a un cavallo
selvaggio a cui mi tenevo aggrappato per sopravvivere. Mi trovavo in una
barca di vetroresina lunga cinque metri nelle acque agitate davanti al
porticciolo di Scituate in Massachusetts e cercavo di ricordare perché ero
lì: per scoprire il segreto della birra limpida. «Non preoccuparti, in
realtà il mare non è pericoloso», mi rassicurava il mio compagno, Jack
Edwards, cercando di dirigersi verso acque più tranquille. «Non siamo mai a
più di 30 metri dalla costa, solo che non possiamo evitare il vento
dell’Est. Comunque, queste barchette sono inaffondabili anche quando sono
piene d’acqua, e per di più rimbalzano sugli scogli. Non finirai fuori
bordo, e se ti succedesse nuotare non ti servirà a niente. L’acqua è troppo
fredda».
Jack, specializzato in letteratura inglese, non voleva parlare di sicurezza
in mare ma discutere le opere di Hunter Thompson. Gridava per superare il
rumore del motore fuoribordo restando in piedi, nonostante la barca ballasse
e rollasse.
«Le vedi quelle creste?». Non vedevo nulla. «È il mare che si infrange su
uno scoglio». Attraverso la schiuma intravvedevo uno scoglio brunastro a
forma di cono. Jack si dirigeva là. Sporgendosi con un lungo mezzo marinaio,
lo agganciò allo scoglio. Le punte bronzee dell’arnese fecero presa sulla
roccia. Nella frazione di secondo in cui la barca rimase ferma, Jack si
piegò verso l’esterno e buttò nella barca una rastrellata di alghe, una
varietà arricciata simile al prezzemolo chiamata Irish moss.
A Jack piace leggere e suonare: chitarra acustica, banjo a cinque corde,
armonica, voce, musica country, rock, vecchie canzoni. Ha fatto un sacco di
mestieri diversi sulla costa del Massachusetts, ma ritorna sempre a quello
di raccogliere le alghe. Ha cominciato a farlo a dodici anni e oggi ne ha
più di quaranta. Mi aveva promesso di portarmi in giro e non intendeva
recedere, anche se il tempo non era proprio ideale. Altri raccoglitori di
alghe avevano lasciato le loro barche, tutte uguali, ormeggiate al molo. Gli
aragostai riempivano le loro nasse di esche prese il mattino, ma anche loro
erano rimasti spiazzati dal tempo.
Alcuni raccoglitori di alghe diventano aragostai, altri sembrano
“alga-dipendenti”. «C’è qualcosa che li fa continuare», afferma Jack. «La
sfida; i cambiamenti della luce, del vento e del mare; il sole che splende
sull’acqua illuminando l’alga sugli scogli - che colori!; imparare a
individuare i luoghi migliori e a mettere la barca in posizione». In una
buona giornata una ventina e più di raccoglitori usciva in mare,
rastrellando alghe per dieci centesimi di dollaro a libbra.
Storia di un raccoglitore
L’Irish moss prende il nome dai depositi presso Cork ma si trova in
Nord America da Rhode Island alla Prince Edward Island in Canada. Negli
Stati Uniti viene raccolta a Scituate e nella vicina Brant Rock, entrambe
non lontane da Plymouth, dove i padri pellegrini trovarono il loro scoglio.
Nella zona gli immigrati irlandesi furono presenti fin dal primo periodo
coloniale e la raccolta di alghe iniziò come minimo al tempo della guerra
civile. Un certo John Barry, arruolato per la guerra, si presentò come “mosser”.
Se non fosse stato per le cime per navi, forse non esisterebbero più
raccoglitori. La Plymouth Cordage Company, all’epoca la maggiore fabbricante
di corde d’America, reclutava manodopera a basso costo in Portogallo e in
Italia e fu così che Thomas Vantangoli partì da Bologna diretto in
Massachusetts.
Nel Nuovo Mondo la vita non è mai stata facile. A metà degli anni Trenta il
nipote Paul Vantangoli si guadagnava da vivere scavando nella sabbia per
raccogliere molluschi a un dollaro a staio che vendeva alle taverne per le
zuppe di pesce offerte gratuitamente agli avventori. Forse dopo il lungo
periodo del Proibizionismo la gente aveva perso l’abitudine di andare in
taverna e doveva essere allettata in qualche modo, o forse la zuppa era un
omaggio agli affamati durante la depressione; sta di fatto che Paul
Vantangoli ricorda che la zuppa era salata e aumentava la sete di birra.
Raccolse abbastanza molluschi da aver bisogno di un camion e questo lo
avvicinò a un’altra occupazione. Un giorno una tempesta portò a riva un
mucchio di Irish moss e Paul venne a sapere che un chimico di
Cambridge, Massachusetts, voleva quell’alga per usarla nell’industria
cosmetica. L’alga viene usata come condensatore e idratante nelle creme per
le mani. Se non è stata a contatto con la sabbia delle spiagge e viene
raccolta direttamente dalle rocce spazzate dal mare, può servire allo stesso
modo per gli sciroppi per la tosse, i gelati, i pudding e i dolciumi.
Ma la cosa più importante è che quest’alga “edibile” è usata
tradizionalmente nell’industria birraria per precipitare le proteine
granulose nella birra. Viene utilizzata soprattutto quando il birraio vuole
evitare la filtrazione onde conferire alla birra un aroma pieno. Inoltre, l’Irish
moss ispessirebbe la schiuma. I suoi ingredienti attivi sono i
polisaccaridi gelatinosi.
Essendo il New England una delle patrie dell’industria birraria, celebre per
le sue ales e porters non filtrate, con la ripresa della
produzione dopo il Proibizionismo Paul riuscì per qualche anno a trasformare
la raccolta delle alghe in un lavoro. Poi, negli anni Quaranta, ci fu la
guerra, a cui seguì la chiusura di diversi piccoli birrifici nei vent’anni
successivi, accompagnata da una popolarità crescente delle lager non
filtrate di produttori nazionali, durata fino alla fine degli anni Settanta.
Per quarant’anni la società di Paul, la Sea Moss, ha rifornito soprattutto
un’industria di trasformazione che lavorava per il settore cosmetico e
alimentare. Poi, con l’avvento del fax, questo nuovo mezzo ha portato un
messaggio sconfortante: non c’era più bisogno dell’alga perché se ne
potevano trovare varietà analoghe più a buon mercato nelle Filippine. Per
oltre due anni l’azienda di Vantangoli non ha venduto un solo chilo di Irish
moss, ma ha continuato a pagare i raccoglitori, mentre il prodotto si
accumulava negli edifici dell’azienda. Il figlio di Paul è andato a lavorare
in un’altra industria, ma un nipote suo omonimo e un altro di nome Jim sono
rimasti nell’azienda. Producevano recinti di cedro e abete, altro affare di
famiglia, ma ben presto hanno accumulato un buco di 8.000 dollari, con la
concreta prospettiva di una bancarotta.
«Che sia dannato se intendevo fare bancarotta», mi ha detto Paul. «Avevo
lavorato troppo duro e per troppo tempo per permetterlo». Come sono riusciti
a evitarla? «Mio nonno è un uomo molto determinato. Abbiamo lavorato ancor
più duro», ricorda Jim Vantangoli. «Alla fine dell’Ottocento la raccolta
dell’alga era la più grossa industria di Scituate e mio nonno non voleva
lasciarla morire». Altre aziende avevano lavorato nel settore ma ora quella
di Vantangoli era l’ultima rimasta e non faceva affari. «Sapevo che sarebbe
arrivato il momento in cui qualcuno avrebbe richiesto di nuovo i nostri
prodotti», giura il vecchio Paul. Nel maggio del ’93 è arrivata la chiamata
dal brewpub Great Lakes di Cleveland in Ohio, che voleva un chilo di
Irish moss. C’era voluto del tempo per la rinascita della piccola
produzione birraria, ma ora Great Lakes metteva fine al digiuno.
La persistenza
della schiuma
Da allora gli affari si sono sviluppati in fretta. Quest’anno l’azienda ha
spedito l’alga a 136 clienti in quantità che vanno dai pacchi sigillati di
plastica da due chili (spediti tramite l’UPS) alle balle da cento chili.
L’industria di trasformazione è giunta alla conclusione che le alghe
filippine non sono adeguate, sicché i Vantangoli forniscono di nuovo il loro
prodotto per cosmetici e alimenti, ma i piccoli birrifici che si servono da
loro vanno dal Canada al Nicaragua. Di recente è arrivato l’ordine di un
famoso vecchio birrificio regionale, Rolling Rock.
I Vantangoli l’anno scorso hanno raccolto oltre duecento tonnellate di alga
bagnata, ma il prodotto finale è pari a un quarto o anche un sesto o un
settimo del peso iniziale, a seconda del grado di essiccamento. La raccolta
avviene in gran parte a giugno, luglio e agosto, quando l’alga è sviluppata
del tutto, e vengono lasciate le radici in modo che la pianta ricresca. I
raccoglitori escono in mare un paio d’ore prima della bassa marea e vi
restano altrettanto dopo e in genere lo fanno per entrambe le maree
giornaliere. L’alga viene caricata sui camion e portata nell’impianto di
trasformazione dei Vantangoli tra le bianche casette in stile ranch della
vicina Kingston. Qui la pianta marina viene distesa ad asciugare e cambia
colore, passando dal rosso bruno al porpora e poi a una tinta panna o
“bionda”. Il raccolto di una giornata, sui mille chili, occupa una
superficie larga tre o quattro metri e lunga cinquanta, come una “strada” di
malto o una pista corta. Resta ad asciugare tre o quattro giorni e viene
quotidianamente spruzzato d’acqua e girato. Questo processo, eseguito a
mano, consente di essiccare le alghe senza renderle friabili. Se si bagna
troppo, la pianta tende a marcire, sicché quando piove si ricorre alle tele
cerate.
Jim osserva e sorveglia le alghe emettendo giudizi come un maltatore. La
prima spruzzata d’acqua è fatta alle sette del mattino e spera di finire il
lavoro nel tardo pomeriggio, cosa però impossibile quando si raccoglie molta
Irish moss. Il carico sui camion lo occupa poi fino alle dieci o
undici di sera. I primi raccoglitori si limitavano a far seccare le alghe
sulla spiaggia, ma in questo modo si otteneva un prodotto troppo sabbioso.
Altri problemi sono le stelle di mare, i ricci, i mitili e le littorine.
«Sono i nostri nemici», spiega nonno Paul, «sono i predatori dell’Irish
moss. Mangiano l’intera pianta e non lasciano nulla perché possa
riprodursi. Quando hanno finito, gli scogli sembrano scartavetrati».
L’alga bagnata è piena di molluschi, che vengono eliminati per gravità in
una macchina inventata da Paul. La pianta viene aspirata in una camera di
essiccamento e i molluschi cadono in un cestino. Quando ho dato un’occhiata,
ho visto che da un raccolto di circa cinque tonnellate di alghe era caduta
una mezza carriolata di molluschi e sassolini. A quel punto il raccolto
viene passato in una macina che lo riduce in scaglie lunghe circa tre
millimetri. In questa forma ricorda i peperoncini sbriciolati che si trovano
nelle drogherie. Per un attimo ho temuto che Jim insistesse perché me ne
portassi via un pacchetto: dato che non possiedo un bollitore per la birra
in cui metterlo, che me ne faccio di questo singolare dono del mare?
Nessun pacchetto del genere, ma all’aeroporto di Boston mi ha messo in mano
una confezione da sei di IPA del locale microbirrificio Harpoon. «Verifichi
la persistenza della schiuma», è stato il suo ultimo messaggio mentre mi
faceva un cenno di saluto prima di tornare verso la costa del Massachusetts.
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