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Gli antichi birrifici Torinesi L'abitudine al consumo della birra a Torino è piuttosto antica, anche se ancora per tutto l'Ottocento essa venne considerata come una bevanda di lusso riservata alle élites, e solo nel Novecento divenne una bevanda popolare. Buona parte della birra consumata in Italia era importata dalla Francia, dalla Germania e dall'Inghilterra, nazioni che vantavano un'antica tradizione in materia; ma verso la metà del XIX secolo cominciarono a nascere delle piccole fabbriche anche nel Nord Italia, sulla scia della industrializzazione favorita dalla politica dell'epoca. Tali fabbriche si ispiravano al modello tedesco, e spesso erano dirette da operai specializzati o addirittura ingegneri provenienti proprio dalla Germania; dapprima erano molto piccole e di stampo artigianale, ma nel corso degli anni si ingrandirono fino a raggiungere livelli di produzione decisamente elevati
Foto dell'antico birrificio Boringhieri
Antico stemma del Borgo San Donato A Torino il luogo d'elezione dei birrifici è il Borgo San Donato, che si rivelò particolarmente favorevole alla produzione alimentare, grazie alla possibilità di sfruttare le acque del "canale di Torino", derivazione del canale della Pellerina., che era descritta all'epoca come un'acqua "purissima, leggera e dolce, poco soggetta agli sbalzi di temperatura nonostante l'alternarsi delle stagioni" e con l'unico difetto di essere periodicamente scarsa; tale canale forniva non solo la materia prima, ma anche energia a basso costo. In quest'area industriale, oltre a numerose concerie e fabbriche di cioccolato e dolciumi, si trovavano i due più antichi birrifici torinesi: la Bosio & Caratsch, che ricordiamo essere il primo birrificio nato in Italia, e la Metzger, le cui sedi erano tra l'altro due degli edifici più importanti e significativi del borgo. Già alla fine dell'Ottocento queste fabbriche avevano raggiunto un ottimo livello di produzione, tanto da essere premiate con la medaglia d'oro all'Esposizione dell'Industria Italiana, svoltasi a Torino nel 1898. Nel frattempo era nata un'altra importante fabbrica: la Boringhieri, situata al fondo di corso Vittorio Emanuele II - in quelle che allora era la periferia della città. Anche la Boringhieri fu premiata all'Esposizione del 1898.
Fleury Caratsch Altri birrifici, più piccoli, erano situati in altri centri piemontesi. Degne di nota sono la Ditta G. Menabrea e figli, di Biella, e la Fratelli Metzger di Asti. All'Esposizione del 1911 tutte le ditte citate erano presenti, e si contesero la medaglia d'oro, che fu infine assegnata alla Bosio & Caratsch. Queste ditte erano accomunate dalla presenza, accanto ai locali destinati alla produzione, di sale riccamente decorate ed ammobiliate, destinate alla degustazione della birra da parte di un pubblico esigente. Nel corso degli anni, come si è accennato, la birra divenne una bevanda sempre più popolare, grazie anche ad una notevole diminuzione dei prezzi; per accontentare la domanda via via crescente sorsero altri piccoli birrifici, che ebbero però vita ben più breve. Tra questi è da ricordare il Kursaal Durio, che era situato in via al Fortino, in zona Valdocco: esso fu per un decennio un locale di ritrovo rinomato, dove accanto al birrificio si trovavano un salone per concerti ed una tettoia per il gioco delle bocce. A partire dagli anni Trenta la Bosio & Caratsch e la Metzger, favorite anche dal regime dell'autarchia che impediva l'importazione di birra dall'estero, aumentarono la loro produzione al punto tale da poter esportare nelle colonie dell'Africa orientale. In seguito esse proseguirono la loro attività industriale, rinunciando però alla tradizione di rivendita e degustazione.
Stemma della ditta Bosio & Caratsch La fabbrica di birra Bosio & Caratsch venne fondata nel 1845 da Giacomo Bosio, cui succedettero il figlio Edoardo Bosio e il nipote Simeone Caratsch. La sede originaria era centralissima, in via della Consolata; nel 1870 venne trasferita in Borgo San Donato, in C.so Principe Oddone n.81. Il motto era "Bona cervisia laetificat cor hominum", la buona birra allieta il cuore degli uomini. La fabbrica venne ampliata nel 1885 ad opera dell'Architetto G. Demicheli: il progetto di "Ghiacciaia e Cantine" per il deposito di birra mostra un edificio compatto e di impianto molto regolare, con prospetti su strada molto regolari, tra i quali spicca il corpo centrale, dove aveva sede la degustazione. Tale edificio emergeva grazie al tetto molto pendente e alle ricche decorazioni di legno, secondo quello che si riteneva essere lo stile tedesco, nell'intento di richiamare una tipica birreria bavarese. L'elegante birreria, che si affacciava su un vasto giardino, occupava una superficie di 1.000 mq ed era attrezzata per tutti gli svaghi più diffusi, tra cui delle attrezzature ginniche. Il grande salone "Kegelbahn" era affrescato da immagini che rappresentavano i fasti della birra in "stile medievale", realizzate dell'artista Giacomo Campi. Qui veniva celebrato annualmente la "Oktoberfest", la festa bavarese della birra nata nel 1810 - pare per opera del Re Luigi di Baviera. Nel 1887 la fabbrica si espanse ulteriormente, occupando tutta l'area dei cortili prospicienti le vie Bonizago e Principessa Clotilde; i nuovi fabbricati non si distaccavano stilisticamente dallo strano connubio del corpo principale. Nello stesso anno venne adottata anche una caldaia a vapore, poiché l'acqua del canale non forniva più energia sufficiente per la produzione in crescita. Nel 1898 la Bosio & Caratsch fu premiata con la medaglia d'oro all'Esposizione dell'Industria Italiana svoltasi a Torino. A quell'epoca lo stabilimento, che dava lavoro a una trentina di operai, occupava una superficie di 8.000 metri quadrati ed era composto di quattro grandi ghiacciaie, della capacità totale di 3.500 mc, pari a 20.000 quintali, per assicurare una temperatura costante e non superiore ai 3°C alle vaste cantine. Al primo piano sotterraneo erano situate le cantine di fermentazione, al secondo piano sotto terra altre cinque cantine di conserva, che erano in grado di contenere fino a 3.000 ettolitri di birra pronti alla vendita. La produzione raggiungeva infatti i 7.000 ettolitri (l'anno?), ed era limitata unicamente dalle gravi imposte fiscali che ne facevano una bevanda di lusso.
Simeone Caratsch La birra Bosio&Caratsch doveva la sua fama anche al metodo di fabbricazione, basato unicamente sull'uso di luppolo e orzo, senza aggiunte di alcool. La exportbier veniva sterilizzata, ed era in grado di resistere fino a sei mesianche a temperatura ambiente - ciò la rendeva adatta all'esportazione in altri centri. La ditta infatti aveva depositi e succursali nelle città italiane più importanti: Milano, Genova, Roma, Napoli, Palermi, Novara, Vercelli e altre. La qualità del prodotto era tale da reggere ormai la concorrenza della più importanti fabbriche austriache e tedesche, di cui tuttavia veniva imitato il metodo. La fabbrica continuò ad espandersi nel decennio successivo, grazie anche agli interventi dell'Arch. Pietro Fenoglio, il quale progettò tra l'altro la ciminiera che svettava sul complesso. Nel 1911 l'industria dovette adottare il primo apparecchio depuratore, a causa dei primi problemi di inquinamento delle acque del canale. Il complesso fu abbattuto verso la fine degli anni '20 e sostituito da nuovo fabbricati; si conservano tuttora solo la ciminiera e la tettoia metallica che ospitava il depuratore. La nuova sede aveva l'affaccio principale in via Principessa Clotilde n.1 ed era considerata eccezionale per la modernità degli impianti, tutti alimentati da energia elettrica. Al pian terreno del fabbricato era situato il "reparto fabbricazione", costituito principalmente dalle caldaie e dai tini di cottura, che consentivano la fabbricazione di circa 220 ettolitri per ogni lavorazione. Qui erano pure installati gli impianti per la produzione del freddo artificiale, del vapore, dell'aria compressa e dell'energia elettrica, e da qui partiva la rete di distribuzione per tutti i reparti. Al primo piano era installato l'impianto di lavaggio, imbottigliamento e tappatura delle bottiglie, che utilizzava una macchina svedese in grado di tappare 6.000 bottiglie ogni ora. Per la prima volta vennero adottate le capsule di alluminio a strappo, in sostituzione del comune tappo corona di lamiera di ferro. Nei due piani sottoterra, come già in precedenza, erano situate le cantine di fermentazione e le cantine di deposito e maturazione del prodotto, della capacità di 6.000 ettolitri. La produzione era infatti salita nel 1940 a 15.000 ettolitri di birra.
Sala di cottura della fabbrica Metzger Carlo Metzger aprì nel 1862 i battenti della sua fabbrica di birra sulla via del borgo, l'attuale via S. Donato n. 68, che pubblicizzava il suo prodotto come "liquido amaro dissetantissimo e nutrichevole dal sapore speciale". Famosissimo era lo slogan, adottato nel linguaggio comune: Chi beve birra campa cent'anni. Nel 1888 la direzione della fabbrica fu ereditata dal figlio Francesco Giuseppe, che aveva fatto i suoi studi in Germania e aveva percorso un lungo tirocinio presso le fabbriche tedesche di birra. Fu suo merito l'aver adottato nello stabilimento di Torino importanti innovazioni, lanciando tra l'altro due nuovi tipi di birra che garantirono il successo dell'azienda: la bionda uso Pilsen e la bruna. La Metzger ci ha lasciato uno degli esempi di architettura industriale firmato dal nome prestigioso di Pietro Fenoglio. Tale edificio si è conservato in quanto tutelato dal Comune di Torino, ed è tuttora sede di un birrificio, quello della Dreher. I disegni di Fenoglio sono datati 1903. Nel complesso l'edificio contiene elementi della tradizione ottocentesca mediati da elementi decorativi Art Nouveau. Il corpo centrale, sede degli uffici e della degustazione, è concepito come una palazzina civile, affiancata da tre bassi fabbricati dove avevano sede le lavorazioni e i magazzini. Poiché esso assolveva anche funzioni di spaccio, era chiamato ad essere un emblema pubblicitario: l'efficienza e la modernità erano simboleggiate dall'alta ciminiera, mentre una serie di decorazioni floreali lo rendono nel complesso armonioso. Pare che la cancellata in ferro prospettante su via S. Donato, composta da cerchi e linee curvilinee, fosse particolarmente ammirata dai contemporanei; purtroppo essa fu asportata per scopi bellici. La fabbrica fu continuativamente ampliata nei decenni successivi, e modificata per mantenere le tecnologie di produzione al passo con la domanda crescente e con le nuove tecniche; tra l'altro fu necessario anche qui introdurre una caldaia a vapore e un depuratore.
Vista della Fabbrica di birra Boringhieri L'ultimo dei birrifici torinesi di grande importanza è la ditta Boringhieri &C. Essa fu fondata da Andrea Boringhieri nel 1876, ed era situata in corso Vittorio Emanuele II, in corrispondenza dell'attuale piazza Adriano, in Borgata Cenisia; era questa una zona destinata ad ospitare servizi indispensabili alla città, come il foro boario, il macello e le carceri. L'edificio, che ospitava anche una rivendita, era proprio al fondo del viale, o per meglio dire lo interrompeva, bloccando non solo il traffico ma anche la visuale verso le Alpi tanto amata dai torinesi. Le discussioni sulla necessità di abbattere l'edificio iniziarono negli anni '20 e proseguirono per trent'anni: fu verso la metà degli anni '50 infatti che la ditta chiuse i battenti, e solo allora l'edificio fu demolito, permettendo di ripristinare la continuità del corso. Già dagli anni '20 tuttavia la Boringhieri aveva dovuto rinunciare all'attività di degustazione, poiché le era stata proibita l'edificazione di quei tendoni e di quelle tettoie che ospitavano tradizionalmente la rivendita, e che erano considerati indegni del decoro cittadino. Giugno 2005 |
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