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Le
degustazioni del Gambero Rosso - Cittavecchia a Trieste
Presentiamo qui la
degustazione delle cinque etichette firmate da Michele e Valentina Barro con
la loro Cittavecchia.
1 Agosto 2003
FORMIDABLE
Birra speciale ad alta fermentazione, a metà strada tra una strong ale
britannica ed una birra d'abbazia belga, con una maturazione di sei mesi, di
8° alcolici. Il nome deriva da quello di un boccale da due litri, trovato in
una delle avventure del commissario Maigret di Simenon. Colore mogano scuro,
schiuma chiara non molto persistente, al naso si evidenziano note di agrumi
e di coriandolo (l'unica spezia usata nella preparazione). La bocca è fresca
nonostante l'alcol, molto fine. Meno ricca e polposa di quanto ci si possa
aspettare, non ha note caramellose, tipiche di molte doppio malto, ma una
gradevolissima nota acida che le garantisce bevibilità e piacevolezza, con
sfumature affumicate e di frutta rossa matura. Volendo utilizzare un
parallelo col vino, è un'interpretazione di una birra ad alta fermentazione
più borgognona che bordolese. Una birra da dopocena, forse un po'
"stilizzata" ma di grande equilibrio ed eleganza.
CHIARA
È la "birra di successo" della Cittavecchia. La pilsner "carsica"
non è filtrata né pastorizzata, ha 4,9° alcolici ed ha una
composizione in cui entrano anche un po' di malti di frumento
leggermente caramellati. L'idea di partenza è stata di creare una pils
bavarese, utilizzando del luppolo tedesco e boemo. Ha una maturazione
all'antica, molto lunga - circa due mesi - ed ormai molto rara. Il
colore è paglierino con riflessi dorati, con una schiuma cremosa e
molto persistente. Il naso è fresco, con gradevoli note di ananas e
frutta tropicale. La bocca è fresca, sapida, molto corposa per una
pils, con note di malto e sfumature di frutta fresca, in particolare
banana ed ananas; senza cedimenti dolci, ha una nota amara finale che
la rende particolarmente fresca e dissetante.
ROSSA
La Rossa è una birra a bassa fermentazione in stile "Vienna", di
5,1° alcolici, dal colore ambrato con sfumature aranciate e dalla
schiuma cremosa, molto compatta e persistente. Noi l'abbiamo
assaggiata direttamente dalla vasca, quindi un po' torbida. Il naso è
fresco, pulito - Michele non usa nessun tipo di spezie per i prodotti
a bassa fermentazione - con gradevoli note di tostatura. La bocca ha
una gradevolissima dominante amara, in cui si esaltano gli aromi di
malto tostato e di luppolo, senza nessuna concessione alle note
caramellate; non avendo passato l'affinamento di un paio di mesi in
bottiglia, che le offre una maggiore complessità, è leggermente meno
ricca di come la ricordavamo, ma sempre di grande piacevolezza e
bevibilità, perfetta per le lunghe serate estive.
WEIZEN
Una vera Hefe Weizen in stile bavarese: 5° alcolici, colore paglierino
chiaro, torbido, con una buona schiuma, anche se leggermente meno
ricca e cremosa dei suoi modelli di oltralpe, e profumi molto tipici,
con belle note di limone. Al palato risulta molto fresca, con sentori
di banana e di agrumi, ed un notevole equilibrio tra le componenti
acida, fruttata ed amara. All'entrata molto gradevole e di buona
complessità fa seguito una chiusura un po' brusca e molto secca, che è
però frutto di una scelta precisa, in quanto per Michele una Weizen
deve saper pulire ed asciugare il palato.
S. NICOLÒ
Prodotta solo in occasione della ricorrenza del santo, il 6
Dicembre, la S. Nicolò è tra le cinque la birra più in evoluzione e
soggetta a cambiamenti nella ricetta. 6° alcolici, con i lieviti
inglesi, i malti tostati continentali, la luppolazione in stile belga,
è una birra ad alta fermentazione caratterizzata dall'uso di spezie.
Di colore ambrato, al naso si evidenziano note di cardamono, caramello
e buccia d'arancia. La bocca conferma le caratteristiche principali
delle birre Cittavecchia, quelle dell'equilibrio e di una certa
dominante amara che conferisce bevibilità e freschezza, in cui si
esaltano note di albicocca e di buccia d'arancia candite. Chiude un
po' bruscamente, con un finale secco e dissetante.
Paolo Zaccaria, foto di Paolo Dalla Corte
Storie di birra
Cittavecchia a Trieste
Fuga per la "pilsner classica"
Sono letteralmente fuggiti da Milano, da un
prestigioso studio di architettura per dedicarsi alla passione della
loro vita, la birra. Michele e Valentina sono approdati in Friuli
Venezia Giulia, a
Trieste anzi, e nel giro di cinque anni hanno creato un piccolo
birrificio artigianale che ora si pone come punto di riferimento in
Italia per produttori e birrofili. E han creato anche uno stile,
quello della "pils classica".
Quando Michele e Valentina Barro decisero di lasciare il prestigioso
studio di architettura di Ettore Sottsass, dove lavoravano da vari
anni rispettivamente come designer e grafica, e che una grande città
come Milano non faceva più per loro, erano ben lontani dall'immaginare
che avrebbero creato una delle migliori e più reputate birrerie
artigianali italiane.
Era il 1996, e fino ad allora Michele era stato soltanto un semplice
consumatore di birra, certo attento alla qualità, ma niente di più.
Arrivato a Trieste, Michele cominciò a produrre birra in casa, con i
kit, appassionandosi sempre di più fino a decidere di fare il grande
salto e di avviare un'attività commerciale. Era il 1999, e nasceva
Cittavecchia.
«Il nome deriva da un primo progetto: volevamo aprire una birreria in
una zona della città vecchia qui a Trieste, dove vendere direttamente
la nostra birra, ma viene anche dalla volontà di non mettere nomi
strani, in lingua tedesca, o di un qualche santo più o meno
conosciuto. Volevamo un nome semplice e facile da ricordare; l'unico
problema è che qualcuno la chiama Civitavecchia, e pensa che sia una
birra del Lazio.»
Alla fine comunque Michele e Valentina hanno abbandonato l'idea di
aprire un pub dove vendere la loro birra e preso la strada più
difficile, quella di fare solo i produttori, aprendo uno stabilimento
a Sgonico, sulle alture appena sopra Trieste.
«Il posto dove abbiamo cominciato la produzione era un po' alla
garibaldina; da pochi mesi siamo in questa nuova sede, con tante cose
ancora da sistemare, ma che ci permette di programmare meglio il
lavoro; quella, che era solo a poche centinaia di metri da qui, non ci
permetteva di produrre la quantità di birra che volevamo».
Dopo un primo anno di rodaggio, capiscono che il mercato più
interessante per loro era quello della vendita di bottiglie, più che
di fusti da spillare: «È stato anche un modo per avere un legame più
stretto con la città, perché la gente può consumarla a casa propria.
Il nostro pubblico è molto vario ed è composto anche da persone
anziane, insomma è un pubblico che non coincide con quello dei pub o
delle birrerie.»
La nuova birreria ha una potenzialità produttiva di 1.000 ettolitri,
ma a tutt'oggi ne vengono prodotti circa 500. L'anno scorso sono state
prodotte in tutto circa 25.000 bottiglie da 0,75 litri, mentre il
resto è stato venduto in fusti per la mescita alla spina.
«Il 50% della nostra produzione lo vendiamo in città, il 30% nel resto
del Friuli, mentre il restante 20% lo vendiamo in giro per l'Italia,
soprattutto nel nord ma un po' a macchia di leopardo, tanto che siamo
presenti anche in dei negozi anche a Palermo ed a Napoli. In questo
periodo stiamo ragionando se rinforzarci qui a Trieste o se essere
presenti in maniera più capillare e "razionale" nel resto d'Italia».
In soli quattro anni Cittavecchia è diventata un punto di riferimento
nella sempre più ampia galassia delle birrerie artigianali italiane.
La Cittavecchia produce cinque birre; due di queste sono state fin
dall'inizio prodotte tutto l'anno: la "Rossa", una "Vienna"
leggermente più alcolica, e la "Chiara", una pils, o meglio una "pilsner
carsica", come la definisce Michele Barro, cioè una pils rivisitata
secondo il suo gusto, quindi un po' più ricca e strutturata di quanto
siamo abituati a vedere nel mondo delle pils.
«Questa birra costituisce il 68% delle nostre vendite - ci dice
Michele - una percentuale neanche eccessiva, perché di solito la birra
chiara di una gamma, pils o lager che sia, costituisce anche l'80%
della produzione di una birreria. La pils è spesso definita la
coca-cola delle birre, ma il mercato la consuma molto, e quindi è
meglio farla bene, e così si ottengono anche grandi soddisfazioni».
Altre due venivano prodotte solo in certi periodi dell'anno: la "Weizen"
(e qui sorge il sospetto che a casa abbiano un cane che chiamano
"cane", un gatto dal nome "gatto" e così via), che fino all'anno
scorso producevano solo in primavera, e che ora visto il successo
hanno deciso di produrre tutto l'anno, che è appunto una weiss, una
bianca al frumento ad alta fermentazione, non filtrata, in puro stile
bavarese, e la "Formidable" (finalmente un «nome proprio»!), una
strong ale ad alta gradazione chiaramente ispirata alle birre
d'abbazia belghe, nata due anni fa come cuvée di Natale e che ora
viene proposta tutto l'anno, sia perché richiede una maturazione di
molti mesi, sia perché ha un suo mercato, piccolo ma molto regolare
nel corso dei vari periodi dell'anno.
A queste si deve aggiungere l'unica birra rimasta ancora "stagionale",
la San Nicolò, una birra ad alta fermentazione che viene prodotta in
occasione del 6 Dicembre, una festa molto sentita in tutta Europa ed
anche qui a Trieste, perché tradizionalmente è quel giorno che si
fanno i regali ai bambini, più che per l'Epifania il 6 gennaio.
«Ci occupiamo di tutto io e mia moglie, e da quando siamo in questa
nuova struttura ho anche un dipendente che mi aiuta nella produzione,
perché devo sempre più andare in giro per promuovere e proporre la
nostra birra alle varie birrerie e pub».
«È anche vero - interviene Valentina - che a forza di dover risolvere
problemi pratici, i locali dove stoccare la merce, le scaffalature, si
rischia di dimenticare quello che veramente realizziamo: non scaffali
su cui mettere le birre, ma birra che ha bisogno di scaffali su cui
maturare. I periodi di cambiamento non sono mai facili, e quando si
realizza tutto da soli sono ancora più complicati, ma la soddisfazione
è tanta, ed anche certe cose che abbiamo un po' trascurato, come le
sperimentazioni, le pubbliche relazioni od i rapporti con gli altri
produttori, le riprenderemo con maggior forza.»
Le birre di Cittavecchia riescono a coniugare due aspetti spesso
difficilmente conciliabili: sono fresche e gradevoli, ma non sono
semplici "birre da sete", da bere guardando la partita; sono più birre
da pasto, o da conversazione con gli amici, ed anche per questo
vengono vendute solo in bottiglie da 0,75 litri.
«La crescita del consumo di birra e dell'attenzione "culturale" nei
suoi confronti sono due fenomeni diversi che riguardano due pubblici
diversi. Il grande consumo giovanile della birra è legato
principalmente alle grandi industrie, alla pubblicità televisiva; i
birrai artigiani sono appena sfiorati da questo tipo di consumo.
D'altra parte, l'Italia è un paese dove, contrariamente agli altri
paesi europei, la birra è nata con la produzione industriale, e non
con le piccole produzioni casalinghe ed artigianali. Questo è una
sorta di "peccato originale" che condiziona non poco l'approccio del
pubblico medio italiano alla birra».
«Sono già molto soddisfatto delle nostre birre - continua Michele - ma
questo non vuol dire che ormai abbiamo trovato le ricette definitive;
se la Chiara e la Rossa sono ormai abbastanza stabili, con una ricetta
ed una qualità costanti, le altre sono in continua evoluzione, perché
fino all'anno scorso ne facevo solo una o due cuvée l'anno ed era
difficile mettere insieme tutti i pezzi del puzzle nel modo giusto.
Ora che posso permettermi di produrle con continuità sto sperimentando
cambiamenti sia nelle ricette che nei sistemi produttivi, per trovare
quei gusti e quelle sfumature che le rendano assolutamente uniche ed
identificabili, e che mi soddisfino pienamente.»
Il passaggio dalla grande architettura al mondo della birra è insomma
già una "success story", e trova i motivi di questo successo in un
atteggiamento di fondo in cui gioca un ruolo fondamentale la voglia di
ricercare e di creare.
Come ci dice Valentina: «c'è una continuità tra il nostro lavoro
precedente e questo: la voglia e la passione per realizzare
qualcosa di nostro e in qualche modo di avanguardia, una cultura della
qualità che fa parte del nostro modo di intendere il lavoro, qualsiasi
lavoro, e che continuiamo a cercare di proporre con tutte le nostre
forze.»
Paolo Zaccaria, foto di Paolo Dalla Corte
Fonte:
GAMBERO ROSSO
Novembre 2005
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